Farfalle

La fortuna di passare qualche giorno di vacanza nel paesino di una vita fa è anche quella di ritrovare tutto come lo si è lasciato.
I visi della gente hanno la stessa espressione: rilassato.
Gli anziani poggiati su di un pezzo di marmo duro, – rigorosamente all’ombra – si proteggono dal caldo, ma in realtà  sono agenti segreti mentre raccolgono informazioni – top secret – sulla popolazione.
I ragazzini giocano al centro di piccole stradine noncuranti dei mezzi di trasporto occupati a schivarli.
Una comunità  ferma al tempo in cui anch’io facevo parte di questi rituali fuori da ogni comprensibile logica moderna.
Persino le buche nell’asfalto sono sempre le stesse, non cambiano, non evolvono, non vengono riparate, sono le pietre miliari di questo angolo di mondo.
“Ci vediamo alla quarta buca della strada di campagna tal dei tali, altrimenti non riesco a trovarti.”
È davvero strano anche correre in questi luoghi, così come è strano avere in mente una mappa visiva disegnata lustri addietro e ancora attuale.
Allo stesso modo è strano, rivedere e schivare animaletti come delle farfalle.
Piccoli insetti scomparsi dalle grandi città  in cui la compressione del tempo – la fretta – È l’unico animale in grado di incontrare – o meglio – con il quale scontrarsi.
È stata una sorpresa rivedere una prima farfalla bianca, piccola e indifesa svolazzare sui fiori di piccole erbacce.
Ma è stato ancora più sorprendente vedere queste grandi farfalle dai colori giallo e nero, – insetti per me ormai estinti – giocare a rincorrersi fra di loro.
Meraviglia della natura.
Sono queste piccole riscoperte quelle capaci di farti urlare nella testa: “Nonostante tutto: la bellezza è ancora possibile trovarla, riscoprirla, goderne.”

Viaggio

Il freddo è stato scalzato dal caldo torrido.
L’inverno messo ko dalla stagione più attesa dell’anno: l’estate.
Stagione capace di regalare aspettative, sogni, delusioni.
Dalla finestra dell’ufficio: le nuvole, intimidite dai prepotenti raggi del sole – rinvigorito dalla sicurezza del proprio essere iperattivo – si chiudono in sé a formare piccoli batuffoli di cotone vaganti senza alcuna meta. 
“Domani iniziano le tue vacanze?”
“Sì, finalmente, non vedo l’ora, sono così stanco, sento il bisogno di ricaricarmi e farmi qualche bel regalo.”
“Chi sono i tuoi compagni di viaggio?”
“Il compagno. Il più importante. Io.”
Mancano ventiquattro ore, l’indomani, dopo aver gettato qualche straccio in una valigia logorata dall’uso eccessivo, un aereo porterà  il signor X lontano dagli impegni scanditi da una agenda da rispettare.
Nel cuore la voglia di abbandonare – senza rimorsi –  la tristezza accumulata dalla serie di episodi negativi accaduti nell’ultimo periodo.
Ha scelto un posto qualsiasi, unica condizione: il mare.
Un uomo, descritto dal Sommo Poeta come: “nel mezzo del cammin di nostra vita” ha sentito la necessità  di regalarsi un film.
Ha deciso di voler rivedere il lungometraggio della sua vita, come fosse seduto in una cabriolet davanti lo schermo di un drive-in.
Sente la necessità  di guardarsi dentro, per una volta; troppe volte ha ignorato quella voce partire dal centro della pancia.
Come è riuscito ad accumulare così tanti errori?
Perché tutto è andato storto?
“Signore la sua carta d’imbarco, faccia buon volo.”
“Grazie, buon lavoro.”
Dal piccolo balcone della sua camera d’albergo, si intravede in lontananza, il profilo netto del cielo poggiato sul mare. 
Sembrano due liquidi incapaci di mescolarsi; due persone diverse, ma capaci di stare fianco a fianco, sempre.
Disfatta la valigia, dal telefono della camera programma la sveglia per il giorno seguente, non vuole perdersi il nascere del sole sul mare.
Lo stesso rituale ripetuto per una intera settimana: dopo essersi preparato, con il telo in una mano ed un libro nell’altra, va ad occupare una piccola duna di sabbia, un micro promontorio dona una prospettiva diversa al dipinto – mai immobile – osservato negli ultimi giorni.
Nelle orecchie la melodia continua delle onde infrante sulla sabbia.
Una distesa immensa d’acqua immobile fa da sipario al sole.
Lo tiene nascosto finché non deciderà  di mostrarsi, scaldando e illuminando con un grosso abbraccio, chiunque si trovi sotto il suo mantello.
Una miriade di piccoli riflessi dorati rimbalzano – come pietre lanciate da un bambino – sul manto azzurro.
Mister X è lì, vuole godersi quello spettacolo senza la possibilità  di interferire con la natura.
Vuole usare quell’immagine per rigenerare, per richiamare i ricordi degli episodi causa di quel male, di quella malinconia interiore portata sulle spalle per troppo tempo.
Rivede e rivive ogni istante, ogni episodio, riprovando le stesse emozioni di quelle originali, di quelle capaci di ferirlo, straziarlo, farlo cadere nuovamente a terra.
Ed è in quel momento, con quell’immobilità  del corpo, con quelle immagini variegate davanti agli occhi, con quel ripetere gli stessi gesti tutti giorni, che la natura gli sussurra la soluzione al suo dilemma.
Il suo errore è stato quello di non fare errori.
Subire passivamente le decisioni degli altri lo ha portato a sbagliare, irrimediabilmente.
Rimanere affacciato alla finestra, guardando la vita scorrere, con l’idea di poter fare sempre la cosa giusta senza fare nulla, lo ha portato all’errore più grande, dimenticare se stesso.
“Signore, mi spiace abbia interrotto la vacanza.”
“A me non spiace, ho una vita da cominciare a vivere.”
“Allora ha ragione, non la trattengo “
“La vacanza è finita. Vado a sbagliare.”