Sono uno dei tanti fortunati ad avere conosciuto il quartetto dei miei nonni.
Persone private dell’uso intensivo della tecnologia così come la conosciamo adesso.
Non avevano idea di cosa fosse uno smartphone, un social, un tablet e a malapena hanno sentito parlare di computer.
Loro sono nati e vissuti in un periodo fatto di lavoro manuale, famiglia e preghiera.
Cresciuti con l’idea di non dover gettare nulla – tutto doveva essere riparato -, fosse stato un oggetto, uno stato d’animo, un rapporto.
Non firmavano contratti per qualsiasi cosa, e se ci fosse stata la necessità di suggellare un accordo, bastava una stretta di mano seguita dal classico:
“hai la mia parola”.
Quel gesto, quel rituale assumeva un valore maggiore rispetto alle più disparate firme autografe fatte in presenza del notaio.
Avete presente il notaio?
L’uomo elegante ed austero, seduto comodo sulla sua poltrona di pelle nera, con i gomiti poggiati sui braccioli.
Protetto dalla sua scrivania di legno massiccio intarsiato e circondato da librerie colme di tomi impolverati.
Tutto costruito, studiato e immaginato per dare l’impressione di maestosità e ufficialità .
Scusate la digressione, ma immaginare il notaio è stato per me un passaggio obbligato.
Torniamo a noi, alla stretta di mano ed al:
“hai la mia parola”.
Mantenere quell’impegno era un obbligo, conversazioni del tipo:
“…non può essere fatto perché mio padre aveva dato la sua parola prima di morire”,
non erano così insolite.
Poi qualcosa è cambiato.
Siamo arrivati noi o la generazione prima della nostra.
Il lavoro duro e manuale lo abbiamo sostituito con gli anni passati sui banchi di scuola, con lo studio, il progresso, la comodità e tutto ciò che oggi conosciamo e usiamo.
Abbiamo, allo stesso modo, cominciato a non fidarci degli altri, abbiamo sentito la necessità di riesumare e usare il vecchio motto:
“verba volant scripta manent”.
La parola, la stretta di mano, una volta tanto vincolante, oggi ha perso il valore avuto qualche lustro fa.
Per dare alla parola una certezza di durata nel tempo è necessario firmare.
Ahimè ormai se non è controfirmata dal notaio nessuna affermazione, promessa o richiesta di fiducia ha alcun valore.
Valore e tempo, un binomio indissolubile, due fratelli siamesi, uno influenza l’altro, se manca uno l’altro cessa di esistere, automaticamente.
Oggi tutto ha un tempo prestabilito.
Tutto ha una scadenza.
Tutto ha un valore limitato nel tempo.
Niente è più duraturo.
Le affermazioni:
“hai la mia parola, te lo prometto, fidati di me”,
una volta vincolanti, ora si accasciano al suolo esanimi dopo poche ore.
Parliamo, affermiamo, promettiamo, chiediamo fiducia con la stessa superficialità con le quali si pubblicano le storie sui social – a tempo prestabilito. –
Scadute le ventiquattro ore perdono di valore, vengono dimenticate, cancellate, buttate nel secchio dell’immondizia.
La parola data, la stretta di mano pietra miliare dei rapporti tra le persone per decenni, ora è stata trasformata in un pugno di sabbia nelle mani di un bambino, se si è fortunati al massimo rimarrà qualche granello tra le pieghe della mano.
Ci siamo trasformati nel popolo delle parole gettate al vento, delle promesse lanciate tra i bufali in corsa, della fiducia usata come modo di dire e non per il valore che dovrebbe avere.
Parole.
Non ne abbiamo mai usate così tante, ma ora non hanno peso, solidità , sicurezza.
Parole.
Oggi sono più leggere del vento e dall’aspetto e consistenza di una nuvola di fumo.
Parole.
Si ha a disposizione solo quell’attimo per vederle sfumare, scomparire, dissolvere, dimenticare.
Parole.
Consumate le prime sono immediatamente pronte le altre, ma non potremo afferrarle e stringerle come si fa con un abbraccio dato ad una persona importante, perché saranno già morte.
Trasloco
A prima vista può sembrare un contenitore inanimato.
Assume dimensioni, forme, colori diversi, ma rimane pur sempre un contenitore.
Quattro pareti, un tetto, una piccola apertura per oltrepassarlo ed ecco servita la prima definizione di casa.
Poi avviene di utilizzare quel contenitore: quotidianamente.
Diventa l’amico – sempre presente – di tutto ciò accade a chi quel contenitore lo vive, lo abita, a volte lo detesta.
Non giudica mai, protegge – quasi sempre – e tiene fuori ciò non vuoi venga mostrato.
E mentre i giorni passano, lo riempi di oggetti – diversi tra loro – alcuni con un grande significato, altri inutili.
La metafora della vita di tutti i giorni.
Lo personalizzi, lo trasformi, lo rendi tuo oppure a tua immagine, diventa una parte di te perché racconta te.
Ci si può fare un viaggio in una casa, si può scorgere – senza farselo raccontare – chi è stato, chi è, e forse chi sarà la persona contenuta in quel contenitore.
Ma senza preavviso la scatola diventa troppo stretta oppure il contenuto troppo ingombrante.
Ingombrante fino al punto da non andare più d’accordo con il contenitore: si scontrano, litigano; finché non si deciderà di sostituirlo con uno più grande, piccolo o semplicemente diverso.
La decisione è ormai presa: qui non si può più restare.
“E’ tutto pronto, devo solo traslocare! “
Il momento in cui tutto cambia: il trasloco.
Pieni di speranze, aspettative, progetti, si usa questo momento per decidere cosa vale la pena far rimanere un ricordo e cosa invece è bene dimenticare.
“Ooh quanti ricordi questo oggetto, non ricordavo di averlo, nella nuova casa avrà un posto in prima fila!”
“No, tu no, tu è bene finisca la tua vita terrena sul fondo di un cestino, ti porti dietro troppi ricordi negativi: devi essere dimenticato”
E con questo rituale si passa in rassegna ogni singolo oggetto, ricordo, pezzo di vita, prima di venire stipato all’interno di un grosso camion, con il compito – a volte ingrato – di riconsegnare – a noi stessi – ciò abbiamo deciso essere parte di noi.
Si mette nelle mani di alcuni sconosciuti qualsiasi la nostra storia, il nostro passato, i nostri ricordi.
Riponiamo una fiducia quasi incondizionata in queste persone.
Potrebbero distruggere tutto, potremmo ritrovarci con un pugno di mosche in mano se solo lo volessero o se il destino decidesse in tal modo.
Non è questo il caso.
Tutto avrà una nuova collocazione all’interno del nuovo contenitore, compresa l’importanza data a quel ricordo, a quell’oggetto, a quel frammento di passato.
Perché questo siamo: siamo futuro poggiato su uno strato – quasi solido – di passato.
Perché potremo traslocare infinite volte, ma la nostra storia, le nostre esperienze, il nostro essere ci seguirà per dirci da quale punto ricominciare, senza dover fare passi indietro e ripercorrere gli stessi medesimi pezzi sbagliati di storia: errori.