Dall’interno della stanza, appena illuminata dai pochi raggi di sole rimasti, ammira, seduta sulla vecchia poltrona, le ombre dei rami spogli, riflessi sulla terra riscaldata dall’ultima giornata autunnale. La mente, libera, danza sulle punte accompagnata dalle note librate in aria – suonate dal pianoforte dei ricordi. – Il corpo, prigioniero di se stesso, guarda l’anima fuggita oltre il vetro. Siede sul davanzale, con le braccia attorno alle gambe. Attende. Un altro giorno è passato. Un altro tramonto sta per lasciare il posto ad una nuova oscurità . Un altro pezzo di speranza ha abbandonato il tavolo, apparecchiato per due, rimasto anche oggi vuoto.
Questo racconto è stato analizzato dalla scrittrice Maggie van der Toorn che lo ha valutato così:
A prima vista può sembrare un contenitore inanimato. Assume dimensioni, forme, colori diversi, ma rimane pur sempre un contenitore. Quattro pareti, un tetto, una piccola apertura per oltrepassarlo ed ecco servita la prima definizione di casa. Poi avviene di utilizzare quel contenitore: quotidianamente. Diventa l’amico – sempre presente – di tutto ciò accade a chi quel contenitore lo vive, lo abita, a volte lo detesta. Non giudica mai, protegge – quasi sempre – e tiene fuori ciò non vuoi venga mostrato. E mentre i giorni passano, lo riempi di oggetti – diversi tra loro – alcuni con un grande significato, altri inutili. La metafora della vita di tutti i giorni. Lo personalizzi, lo trasformi, lo rendi tuo oppure a tua immagine, diventa una parte di te perché racconta te. Ci si può fare un viaggio in una casa, si può scorgere – senza farselo raccontare – chi è stato, chi è, e forse chi sarà la persona contenuta in quel contenitore. Ma senza preavviso la scatola diventa troppo stretta oppure il contenuto troppo ingombrante. Ingombrante fino al punto da non andare più d’accordo con il contenitore: si scontrano, litigano; finché non si deciderà di sostituirlo con uno più grande, piccolo o semplicemente diverso. La decisione è ormai presa: qui non si può più restare. “E’ tutto pronto, devo solo traslocare! “ Il momento in cui tutto cambia: il trasloco. Pieni di speranze, aspettative, progetti, si usa questo momento per decidere cosa vale la pena far rimanere un ricordo e cosa invece è bene dimenticare. “Ooh quanti ricordi questo oggetto, non ricordavo di averlo, nella nuova casa avrà un posto in prima fila!” “No, tu no, tu è bene finisca la tua vita terrena sul fondo di un cestino, ti porti dietro troppi ricordi negativi: devi essere dimenticato” E con questo rituale si passa in rassegna ogni singolo oggetto, ricordo, pezzo di vita, prima di venire stipato all’interno di un grosso camion, con il compito – a volte ingrato – di riconsegnare – a noi stessi – ciò abbiamo deciso essere parte di noi. Si mette nelle mani di alcuni sconosciuti qualsiasi la nostra storia, il nostro passato, i nostri ricordi. Riponiamo una fiducia quasi incondizionata in queste persone. Potrebbero distruggere tutto, potremmo ritrovarci con un pugno di mosche in mano se solo lo volessero o se il destino decidesse in tal modo. Non è questo il caso. Tutto avrà una nuova collocazione all’interno del nuovo contenitore, compresa l’importanza data a quel ricordo, a quell’oggetto, a quel frammento di passato. Perché questo siamo: siamo futuro poggiato su uno strato – quasi solido – di passato. Perché potremo traslocare infinite volte, ma la nostra storia, le nostre esperienze, il nostro essere ci seguirà per dirci da quale punto ricominciare, senza dover fare passi indietro e ripercorrere gli stessi medesimi pezzi sbagliati di storia: errori.