Bolle di sapone

Interminabili giornate di pioggia.
Lunghe e infinite ore passate con il viso rivolto verso il basso a proteggersi da una miriade di piccole gocce d’acqua.
Ore in cui lo sguardo è rivolto in direzione dell’unico palcoscenico visibile: le punte delle scarpe.
Un film muto e sempre uguale, una pellicola con pochi fotogrammi ripetuti milioni di volte.
Incessanti ore passate a cercare e usare scudi, ripari, pelte sempre diverse per non farsi colpire dal freddo, dall’acqua, dalla malinconia trasportata dai colori grigi del brutto tempo.
Nonostante questo accorgimento, nonostante la chiusura in se stessi, nonostante si metta in atto qualsiasi stratagemma per non farsi colpire, c’è sempre la gocciolina priva di sensibilità , senza umanità , quella capace di trafiggerti alle spalle come una pugnalata, insinuandosi sull’unico punto debole scoperto: il collo.
Arriva come un fulmine a ciel sereno il brivido freddo in grado di percorrere la lunga autostrada della schiena.
L’inaspettato all’improvviso.
Costringe a fare i conti con i brividi su tutto il corpo, imprecare contro la malasorte, accusata giustamente di punire sempre senza far mai la cortesia di avvertire prima.
Per fortuna, a volte sfortuna, nulla dura per sempre ed oggi le nuvole hanno terminato il loro carico di rabbia, e non potendo continuare a sostenere la battaglia, prive di munizioni, hanno deciso per una ritirata strategica.
Bandiera bianca per loro.
“Ragazzi scappiamo, siamo senza armi, tutti alla base!”
Per questo motivo, come tanti piccoli funghi nati a settembre vengono allo scoperto un esiguo numero di teste, per moltiplicarsi in un secondo momento, in una marea di esseri umani increduli davanti alla ritrovata benevolenza del Dio Giove.
Uno sconfinato dipinto di volti rappresentanti la medesima espressione: incredulità .
In mezzo a queste facce scioccate, una piccola testolina piena zeppa di riccioli d’oro, incurante di tutto, fa capolinea in un minuscolo angolo di giardino.
A lei interessa solo poter riprendere a giocare fuori dalle quattro mura di casa che l’hanno tenuta prigioniera fino a quel momento.
Vuole sfruttare ogni secondo di quella pausa dal maltempo.
Stringe nella piccola mano sinistra un contenitore di plastica riempito fino all’orlo con un miscuglio di acqua e sapone ed in quella destra un’asticella, della stessa lunghezza del contenitore, con all’estremità  un cerchio zigrinato.
Saranno le sue armi per sconfiggere la noia padrona del tempo fino a quel momento.
Arma non convenzionale; ho visto tanti adulti usarla e divertirsi, così come ho visto persone usare quell’arma per trasformala in oggetto per professionisti.
Pochi ingredienti per creare oggetti effimeri: bolle di sapone.
Sfere dalle dimensioni differenti: piccole, medie, grandi.
Dai colori simili: iridescenti con sfumature cangianti, caleidoscopiche, in virtù della luce che attraversa la superficie.
In grado di volare, di cadere immediatamente al suolo o poggiarsi per qualche secondo su di un supporto rigido con il capriccio di sostenerle.
Perfino capaci di contenere altre sfere all’interno di se stesse, un sogno all’interno di un altro sogno.
Sfere che tutti cercano di toccare, non mentite anche voi non resistete al desiderio di acciuffare una bolla di sapone quando ve la ritrovate a volteggiare davanti al naso.
Nonostante tutte queste differenze le bolle di sapone hanno una proprietà  comune: divertono, piacciono a tutti grandi o piccini, ma soprattutto sono belle.
Belle nella miriade di colori capaci di sfoggiare.
Belle nelle emozioni in grado di esaltare.
Belle nella magia della spontaneità  di riuscire a far ritornare bambini.
Ma tutta questa bellezza ha un prezzo da pagare: il tempo.
Il tempo a loro concesso è limitato, laconico, stringato.
E’ una regola universale dettata da chi ha creato il mondo: “una cosa bella deve essere limitata nel tempo, mentre se è brutta le sarà  concesso tutto il tempo desiderato.
Più è lungo meglio è, così è deciso !”
Una regola di una crudeltà  infinita con lo scopo unico di non far abituare alla bellezza.
Le bolle di sapone però possono essere ricreate quasi all’infinito e la loro bellezza può essere rivista, goduta nuovamente, mentre altra forma di bellezza che bolla non è, una volta esplosa non potrà  più essere ricomposta.
Lascerà  il magico ricordo per aver avuto la fortuna di vederla, provarla, viverla, ma si dovrà  fare i conti con l’amaro in bocca e il freddo nell’anima di non poterla più avere.

Primavera

L’inverno è stato messo alle strette.
Spinto nel suo angolo subisce, incapace di difendersi, i colpi bassi dei primi caldi portati dal sole.
E’ primavera.
Adesso è lei a farla da padrona e non intende cedere ai ricatti di qualche pioggia invadente, ma sporadica.
Tutto viene rianimato.
Le montagne vengono inondate da una secchiata di vernice verde scuro perdendo il consueto mantello grigio.
Le piante rinascono timide e piene di piccoli germogli rigogliosi.
I primi fili d’erba si affacciano alla nuova vita rompendo il pesante strato di terra che gli ha fatto da scudo e protetti durante il freddo appena lasciato alle spalle.
Sono coraggiosi loro, non temono di essere calpestati e se lo fossero raddrizzeranno la schiena più forti di prima.
Non si fanno abbattere da un inconveniente così banale e prevedibile.
L’insolenza di una comitiva di pettirossi è imbarazzante, non si preoccupano dei vicini animali intontiti dal prematuro risveglio, dopo essere stati coccolati dal letargo invernale.
Devono, anche loro ad ogni costo, partecipare alla festa della nuova vita.
Sentono la necessità  di cantare, urlare, cinguettare, rivendicare il loro diritto di esserci e farsi riconoscere.
Riemergono anche gli uomini.
Cercano, nel rinato tepore, la forza di abbandonare i luoghi sicuri in cui sono stati immersi nei mesi passati.
Una bolla di sapone fatta scoppiare non appena è stata di troppo.
Rinvigoriti dalla luce hanno ripreso ad animare parchi, boschi, prati, laghi e qualsiasi altro posto privo di un tetto, una copertura, qualcosa capace di oscurare la visuale sopra la loro testa.
La necessità  ora è di fare il pieno di caldo, riempire gli occhi con i colori della vitalità , tuffarsi nel verde per riemergere nell’azzurro.
I pittori coloreranno i loro quadri con colori caldi dando ai loro ritratti la forza di sollevarsi dalla tela e prendere vita.
I musicisti riempiranno lo spartito di note così vigorose che sembreranno voler ballare insieme alle evoluzioni praticate dai ballerini.
I poeti scriveranno versi non più inneggianti alla tristezza, ma alla felicità .
Si pensa al futuro.
Si fanno progetti.
Si è ottimisti.
Si cerca di emulare i fili di erba, quelli incapaci di farsi abbattere dalle piccole avversità  che inevitabilmente arriveranno, ci investiranno, ma verranno scrollati di dosso con un leggero movimento delle spalle.
Tutto è più facile, ottenibile, a portata di mano, basterà  chinarsi in avanti per afferrarlo.
Finalmente, ci si potrà  tuffare nella piscina colma di profumi con la corsia in direzione del nuovo periodo di buio pesto, ma nel frattempo potremo godere della bellezza avuta sotto il naso in ogni momento.
Bellezza nascosta solo dall’incapacità  di riuscire a volgere lo sguardo oltre il gelo.
Dopo lo sconforto dovuto ai disegni fatti dai pastelli grigi del freddo sulle tele del nostro quotidiano, avremo la sensazione di poter tutto, basterà  volerlo prendere.
Prendiamolo.