Questa poesia è stata pubblicata nella raccolta “Poesie di Strada Vol. 2” edita da Idrovolante Edizioni ed acquistabile qui.
Fanciullo colma gli occhi, attingi gioia dal mare, è pieno. Nuota immergiti cavalca l’onda naviga. Seduto sulla sabbia ti attende nuovo tempo di mestizia vestito.
Il freddo è stato scalzato dal caldo torrido. L’inverno messo ko dalla stagione più attesa dell’anno: l’estate. Stagione capace di regalare aspettative, sogni, delusioni. Dalla finestra dell’ufficio: le nuvole, intimidite dai prepotenti raggi del sole – rinvigorito dalla sicurezza del proprio essere iperattivo – si chiudono in sé a formare piccoli batuffoli di cotone vaganti senza alcuna meta. “Domani iniziano le tue vacanze?” “Sì, finalmente, non vedo l’ora, sono così stanco, sento il bisogno di ricaricarmi e farmi qualche bel regalo.” “Chi sono i tuoi compagni di viaggio?” “Il compagno. Il più importante. Io.” Mancano ventiquattro ore, l’indomani, dopo aver gettato qualche straccio in una valigia logorata dall’uso eccessivo, un aereo porterà il signor X lontano dagli impegni scanditi da una agenda da rispettare. Nel cuore la voglia di abbandonare – senza rimorsi – la tristezza accumulata dalla serie di episodi negativi accaduti nell’ultimo periodo. Ha scelto un posto qualsiasi, unica condizione: il mare. Un uomo, descritto dal Sommo Poeta come: “nel mezzo del cammin di nostra vita” ha sentito la necessità di regalarsi un film. Ha deciso di voler rivedere il lungometraggio della sua vita, come fosse seduto in una cabriolet davanti lo schermo di un drive-in. Sente la necessità di guardarsi dentro, per una volta; troppe volte ha ignorato quella voce partire dal centro della pancia. Come è riuscito ad accumulare così tanti errori? Perché tutto è andato storto? “Signore la sua carta d’imbarco, faccia buon volo.” “Grazie, buon lavoro.” Dal piccolo balcone della sua camera d’albergo, si intravede in lontananza, il profilo netto del cielo poggiato sul mare. Sembrano due liquidi incapaci di mescolarsi; due persone diverse, ma capaci di stare fianco a fianco, sempre. Disfatta la valigia, dal telefono della camera programma la sveglia per il giorno seguente, non vuole perdersi il nascere del sole sul mare. Lo stesso rituale ripetuto per una intera settimana: dopo essersi preparato, con il telo in una mano ed un libro nell’altra, va ad occupare una piccola duna di sabbia, un micro promontorio dona una prospettiva diversa al dipinto – mai immobile – osservato negli ultimi giorni. Nelle orecchie la melodia continua delle onde infrante sulla sabbia. Una distesa immensa d’acqua immobile fa da sipario al sole. Lo tiene nascosto finché non deciderà di mostrarsi, scaldando e illuminando con un grosso abbraccio, chiunque si trovi sotto il suo mantello. Una miriade di piccoli riflessi dorati rimbalzano – come pietre lanciate da un bambino – sul manto azzurro. Mister X è lì, vuole godersi quello spettacolo senza la possibilità di interferire con la natura. Vuole usare quell’immagine per rigenerare, per richiamare i ricordi degli episodi causa di quel male, di quella malinconia interiore portata sulle spalle per troppo tempo. Rivede e rivive ogni istante, ogni episodio, riprovando le stesse emozioni di quelle originali, di quelle capaci di ferirlo, straziarlo, farlo cadere nuovamente a terra. Ed è in quel momento, con quell’immobilità del corpo, con quelle immagini variegate davanti agli occhi, con quel ripetere gli stessi gesti tutti giorni, che la natura gli sussurra la soluzione al suo dilemma. Il suo errore è stato quello di non fare errori. Subire passivamente le decisioni degli altri lo ha portato a sbagliare, irrimediabilmente. Rimanere affacciato alla finestra, guardando la vita scorrere, con l’idea di poter fare sempre la cosa giusta senza fare nulla, lo ha portato all’errore più grande, dimenticare se stesso. “Signore, mi spiace abbia interrotto la vacanza.” “A me non spiace, ho una vita da cominciare a vivere.” “Allora ha ragione, non la trattengo “ “La vacanza è finita. Vado a sbagliare.”
Tra le mani un accumulo di carta sporcata dai pensieri di un signore con qualcosa da dire. La pelle riscaldata dal calore proveniente dalla vicina stella – madre della nostra stessa vita. – Le orecchie piene del canto delle onde del mare mentre lottano tra loro: incapaci di rassegnarsi alla sconfitta. La sabbia morbida, ma compatta, sostiene il corpo, mentre i pensieri vagano liberi per campi ben coltivati. Il piacere del sapere di non dover compiere azioni legate solo ad obblighi stabiliti da un pezzo di carta straccia. Il benessere: omaggio di tutto questo, la scelta: volersene appropriare. All’interno di questa cornice, una donna in lontananza. Si avvicina con passo lento e costante calciando qualcosa di impossibile da riconoscere. “Ma, da questo punto si ha l’impressione di essere su di un isolotto al centro del mare! Ti spiace se siedo anche io qui?” “Fa’ pure.” Il corpo esile ma ben proporzionato, lunghi capelli neri resi lucenti dalla luce, occhi azzurri illuminati dalla evidente voglia di vivere, viso dai dolcissimi lineamenti. Seduta con le gambe stese, dopo aver spostato le mani dietro le spalle e sollevato il viso: “sai, ho perso una persona importante.” “Dov’è andata?” “Non è importante dove, ma non c’è più.” “E’ un bene o è un male?” “Un necessario. Mi logorava l’anima, il cuore e la mente” “Com’è andata via?” “Rumorosamente e continua a far rumore, incessantemente, dovrei proteggere il mondo da lei.” “Non farlo, il rumore assorderà chi le orbita attorno e fuggirà come una lepre inseguita da una volpe.” “Come fai a esserne certo?” “Chi dice di esserlo. Ma se immagini il rumore come fosse una candela accesa, brucerà e si consumerà fino a spegnersi – lascia al tempo di compiere il suo mestiere – e ci sarà il buio nel suo recinto.” “Ma nel frattempo sporcherà di cera calda chiunque ci sia attorno a tenerla per mano.” “Chi si macchierà e deciderà di pulirsi gli occhi vedrà nitidamente il buio lasciato da una candela ormai spenta. E in quel momento capirà di essersi trovato vicino ad un oggetto capace di bruciare se stesso e imbrattare gli altri.” Sbilanciandosi in avanti, voltò lentamente il viso fissandomi con i suoi grandi occhi sereni: “tu chi sei?” “Uno sconosciuto.” “Non si parla agli sconosciuti.” “Non lo abbiamo fatto.” “E’ stato bello non parlare con te. Ciao.” Si alzò in piedi e si allontanò dando le spalle al mare.