Ciao 2019,
è arrivato il momento di parlarti.
Ormai è fatta, siamo alla fine, sei passato, finito, estinto.
Ci siamo.
La tua fine porta inevitabilmente a fare bilanci, consuntivi, tirare le somme.
La prima cosa da dirti è:
Vaffanculo (se mi legge qualcuno perdonate il francesismo schietto), ma nonostante il dolce termine, devo anche ringraziarlo (il 2019), quindi:
grazie.
Sono vivi, nelle mie orecchie, i frastuoni dei tuoi primi vagiti.
Come i neonati, appena arrivato hai fatto un gran macello, hai urlato, hai pianto, ti sei svegliato all’improvviso per mangiare, ma nonostante questo eri bello da guardare e da tenere tra le braccia.
Facevi quasi tenerezza.
I tuoi progressi erano lenti, ma continui, ero quasi orgoglioso di te.
Mi dicevo:
“guarda come cresce bene, quante soddisfazioni mi sta dando, sarà davvero bello e forte una volta cresciuto.”
Certo, come tutti i bambini non eri esente da capricci, marachelle, scatti d’ira, motivi per farmi arrabbiare, ma nulla di irrimediabile, mi facevi un sorriso, mi strappavi un bacino, mi abbracciavi e tutto si sistemava.
Abbiamo litigato tanto, ma il giorno dopo eravamo più coesi e uniti di prima.
Mi facevo forte della tua crescita, del tuo essere in salute, del tuo saper dare tanto, del tuo essere generoso, non ti montare la testa i difetti erano pari ai pregi.
Poi finalmente hai superato il periodo critico, hai superato l’adolescenza, il tuo carattere si è mitigato, sembrava avessi raggiunto l’equilibrio.
Sei diventato bello da perdere il fiato, forte come pochi, propositivo, pieno di energia, vitalità e solarità .
“Ohh finalmente è adulto, ha la forza per andare avanti da solo, non ha più bisogno di me.”
Con queste premesse non potevo non fidarmi, sembrava avessi capito cosa dover fare e come farlo e mi sono fidato di te.
Continuavi a pretendere la tua libertà :
“sono un anno diverso dagli altri, quello migliore, non ti ho deluso fino ad adesso, non posso sbagliare.”
Quando ti chiedono così ardentemente fiducia non puoi non concederla.
E’ necessario dare quella libertà , aprire le proprie dita e liberare la manina per vedere camminare sulle proprie gambe questo piccolo diventato grande.
Forse quello è stato il mio errore, fidarmi.
Lì il patatrac, dopo qualche bel passo certo, solido, ben assestato:
“sbam…”
sei caduto con il viso a terra.
È bastata qualche foglia secca caduta per caso sotto i tuoi piedi per farti perdere l’equilibrio, vacillare, abbandonare quella sicurezza che tanto ostentavi, decantavi e urlavi.
Da un guerriero pieno di vigore e forza ti sei trasformato nell’ultimo degli agnellini privi di coraggio, pronto a scappare davanti ai problemi.
Sei invecchiato di colpo, le rughe hanno preso immediatamente il posto della tua pelle prima liscia e levigata.
Il tuo animo docile si è trasformato in irrequieto, eri ormai irriconoscibile, i fasti dei tuoi momenti migliori quasi dimenticati.
Hai perso la memoria, il correre senza incertezze ha lasciato il posto a passi barcollanti.
Stevenson sarebbe stato orgoglioso di leggere in te e in quello in cui ti sei trasformato la trama del suo romanzo più conosciuto:
“Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.”
Nulla era più rimediabile, ormai il tuo essere invecchiato ha consumato ogni parte di te.
Oggi è il giorno del tuo ultimo respiro.
Oggi muori, passerai a miglior vita, quella esclusiva dei ricordi.
Un nuovo anno sta per prendere il tuo posto, stai per essere sostituito – non dimenticato. –
2019 perché hai fatto questa scelta?
Perché hai aspettato la fine dei tuoi giorni per rivelarti?
Non potevi semplicemente non strafare nei tuoi giorni migliori lasciando un po’ di respiro anche agli ultimi momenti di questa tua vita?
Come dici:
“per gustare l’euforia dell’orizzonte più bello è necessario correre il rischio di salire sul punto più alto della montagna.”
Come darti torto.
Ormai è fatta, il tuo sostituto in questa vita terrena è arrivato a darti il cambio.
Non so quali intenzioni possa avere e cosa nasconde in quella sacca nera portata sulle spalle, lo scoprirò giorno dopo giorno, ma tu, caro mio 2019 un segno, un solco, un’impronta, una cicatrice da ricordare l’hai lasciata e sarà lì sempre in primo piano a urlare:
“un anno folle dalla bellezza inaudita ma dal carattere tempestoso è passato sopra il mio essere.”
Ciao 2019.
1 + 1 = 1
Riprendere la quotidianità dopo aver trascorso le meritate – solo per alcuni – giornate di vacanze ha i suoi pregi.
Ci si ritrova a riempire nuovamente i viottoli svuotati dal caldo.
Grandi deserti lasciati in balia di coraggiosi animali – privi di alcun padrone – si trasformano nuovamente in floride piazze rigogliose di persone pronte a calpestarne ogni centimetro.
Tutto viene rinnovato, tutto ricomincia, tutto riprende forma.
La fine dell’estate assomiglia ad un nuovo inizio: una sorta di capodanno a settembre.
Il momento in cui si guarda dietro le proprie spalle e si tiranno le somme.
Chissà perché, di tanto in tanto, sentiamo la necessità di fare il punto della situazione, verificare se i piani fatti fino a quel momento sono stati rispettati oppure qualcosa è andato in modo diverso – non necessariamente storto – a volte meglio del previsto.
Si ripercorrono con la mente le giornate calde appena consumate, usate, anche vissute.
Periodo – quello estivo – abile nel regalare momenti euforici o al contrario totalmente abissanti, ma incapace di rimanere immobile; incapace di quell’anonimato tanto sbandierato dalle altre stagioni.
Immerse in una via del centro, confuse tra uno stuolo di anime irrequiete, due donne: una zia con la piccola nipotina.
Una ragazza giovane, minuta, con lunghi capelli neri sfumati da punte color mogano.
L’incedere elegante stretta nelle piccole spalle, il viso furbo illuminato dai suoi occhi azzurri: pronti a cogliere ogni sfumatura proveniente dal mondo circostante, ma soprattutto dal piccolo satellite – tenuto per mano – in grado di rallentarne l’andatura.
“Zia, ma uno più uno fa uno?”
“A volte sì amore”
“Perché non sempre?”
“Perché se a sommarsi sono persone da due ne viene fuori un’altra – nuova. -“
La piccola bimba bionda, dai grandi occhioni neri neri, il viso paffuto e perplesso volgendo lo sguardo interrogativo verso l’oracolo alla sua sinistra, dopo un momento di incertezza è scoppiata in un incontenibile risata.
Quella risposta inaspettata e totalmente fuori portata per una piccola donnina appena affacciata alla vita, le sarà sembrata una battuta di spirito, tanto da non riuscire a placare l’ilarità scaturita da quella affermazione.
“Zia, ma cosa stai dicendo… hahahaha” e con la sfrontatezza dell’ingenuità :
“non capisci proprio niente, la nonna lo sa, lo chiedo a lei.”
Non so perché quella normale coppia avesse attirato la mia attenzione, e non so cosa stesse pensando la giovane ragazza per aver dato d’impulso quella risposta.
Aver affidato ad una bambina una affermazione così romantica, dalle mille sfaccettature e con miriadi di interpretazioni diverse è stata una bella scoperta.
In un periodo in cui tutto è dato per scontato, dove i rapporti umani sono coltivati – per fortuna non sempre – su campi aridi, dove l’altruismo è merce rara e vista con occhi diffidenti, ascoltare qualcosa di poco prevedibile – ma bello – mi ha lasciato il piacere di sperare e la consapevolezza di ringraziare.
Ringraziare il presente.
Sperare nel futuro.