Immerso in se

Porto di Campomarino di Maruggio (TA)

Immerso nel suo silenzio, ascolta l’infrangersi delle onde del mare contro i possenti blocchi di cemento. 
Il profumo della brezza lo avvolge come un mantello invisibile. 
Il sole ancora caldo, mentre inizia il suo lungo tuffo nell’acqua cristallina, lo coccola cantando la sua melodia preferita. 
Nulla intorno a lui se non se stesso.

I ricordi

Sono in aereo, uno dei posti migliori per essere soli tra la gente.
Una gabbia di metallo con due poteri antitetici. 
Portarti o allontanarti da chi ti fa felice e allo stesso tempo, portarti o allontanarti da chi ti rende triste.
È molto presto. 
Sbirciando dal finestrino, spuntano all’improvviso le sommità  delle montagne circostanti.
Un paesaggio fiabesco. 
Da quella altezza ricordano piccoli scogli immersi in un mare di batuffoli di cotone mentre le nuvole riempiono gli spazi vuoti tra le vette.
Sono ancora vivi i postumi di una falsa notte passata tra una manciata di ore di sonno e l’incapacità  di rilassarsi totalmente.
Il ricordo di una commissione fa da scudo alla voglia di abbandonarsi alla notte.
Davanti a me un bimbo incapace di lasciarsi andare alla serenità  fa capolino tra i sedili.
Alla mia destra, un uomo distinto di mezza età  inganna l’attesa giocando con un passatempo elettronico.
Alla mia sinistra una ragazza. 
Nascosta dietro i suoi capelli scuri, cerca di riposare ascoltando la sua playlist preferita, le cuffie nelle orecchie la isolano interamente dal mondo esterno.
La foto sullo sfondo del cellulare la ritrae con un ragazzo, suppongo il fidanzato, dall’anello sfoggiato orgogliosamente sull’anulare sinistro. 
Tenta di dormire senza risultati tangibili. 
All’improvviso apre gli occhi.
Un ricordo, un pensiero giunto come un fulmine la scuote dal faticoso torpore in cui si era adagiata inerme e indifesa.
L’estrema e forzata vicinanza mi rende facile notare i suoi i movimenti.
Comincia ad armeggiare con il telefono sfogliando nervosamente la galleria fotografica.
Rubo da quelle poche immagini, pezzi del racconto della sua vita.
Prende forma davanti a me un puzzle incompleto delle sue giornate.
È alla ricerca di un’immagine precisa, importante.
È consapevole della sua esistenza. 
È lì, deve essere lì, per forza.
Va solo trovata. 
Serve un pizzico di pazienza o fortuna.
All’improvviso si blocca.
Prende forma a pieno schermo l’immagine di una donna anziana, elegante, austera.
Stretta in un sorriso colmo di consapevolezza, ritratta su di una poltrona d’altri tempi. 
Ricorda le foto dei nonni di qualche generazione fa, fatte per immortalare e bloccare il tempo.
Lo sguardo della ragazza si colora di un dolce sorriso, ma lascia il posto immediatamente ad uno scuro sguardo triste. 
Continua a fissare quella foto.
Chissà  quanti ricordi sta rivivendo in questo momento, quanti momenti felici ha passato con quella donna o quanti piccoli segreti le ha rivelato. 
Di certo è, o immagino sia stata, una donna importante per la sua vita.
Avrei voglia di chiederle come mai quella necessità  improvvisa, bruciante, impellente (come se ne avesse un bisogno vitale) di rivivere quei ricordi, pur se dolorosi. 
Evidentemente dolorosi.
Ma se ci penso, anche io a volte sento la necessità  di rivivere momenti passati in cui sono stato felice, anche se riviverli fa male, brucia, graffia la mente e il cuore.
La consapevolezza di avere ricordi che non potremo più rivivere è quasi intollerabile.
Ma il dolore che si prova nel farli tornare alla mente è sempre minore del piacere che hanno dato quando si sono formati.
I ricordi, non sono altro che sentimenti sedimentati dentro di noi.
E sono i ricordi che ci danno la forza di crearne altri e aggiungere un altro giorno a quello precedente.  

Il silenzio

A volte decido di dedicare una serata al divano.
Questo strano oggetto capace di fagocitare le persone per lunghe e interminabili ore. 
Uno scrittore di fantascienza potrebbe rappresentarlo come un buco nero. 
Dovrebbe spaventare per il suo totale egoismo, invece ne siamo attratti, lo ricerchiamo, ci buttiamo a capofitto nel suo ventre morbido. 
Lui subdolo, ci tiene ancorati fingendo di coccolarci.
Anche io non sfuggo al suo canto ammaliatore.
La Dea Chione, oggi, ha deciso di amplificare la forza dello strano oggetto, regalando un ampio manto nevoso.
Un intero orizzonte monocolore. 
Le auto, credendosi dei bulli di quartiere, provano invano in tutti i modi a rovinare questo capolavoro della natura.
Un soffice agglomerato di ispirazione per artisti capaci di cogliere le sfumature tra le pieghe delle emozioni che regala.
Non una luce intorno a me.
Devo poter godere appieno di ogni piccolo riflesso di luce artificiale che rimbalza sui fiocchi candidi.
Da l’impressione di essere un immenso esercito di lucciole marcianti verso la stessa direzione, in colonna, disciplinati, ordinati, in pace tra loro, ma soprattutto silenziosi.
Ecco, forse la magia della neve sta nel silenzio che regala.
Il silenzio.
Penso.
Abbiamo perso il piacere del silenzio.
Perché stare in silenzio obbliga ad ascoltare noi stessi. 
Troppe volte fuggiamo dai nostri pensieri usando mille alibi, mille trucchi o sotterfugi fingendo di non udirli, sovrastati dal rumore della quotidianità .
Invece dovremmo ascoltarci di più e più spesso.
Perché la soluzione a molti problemi alla fine è lì, dentro di noi.
Basta ascoltarla mentre tutto fuori tace.

Pozzanghere

Devo buttare del tempo.
Non posso evitarlo, sono bloccato qui.
Fermo, immobile, in macchina, la radio fa come sempre il suo dovere di fedele compagna.
A volte riesce a comprendere quale canzone o pezzo tu abbia bisogno di ascoltare e te lo serve su di un piatto d’argento.
Il sole ormai tramontato ha lasciato il posto alla flebile luce dai classici toni grigi. 
In realtà  è tutto grigio, una strana cartolina monocolore invade il paesaggio circostante, ci si muove con la luce artificiale, quasi a tentoni.
Gli alberi spogli, fissano tutti con la loro aria di vecchi saggi, spenti, stanchi, ma pronti a subire il rigore dell’inverno.
Piove.
Le piccole gocce formatisi tra le nuvole, cadute a terra, hanno creato tante piccole pozzanghere.
Piccoli accumuli di felicità  se osservati con gli occhi dei bambini. 
A loro basta poco.
Un salto lì, al centro, ed è subito festa.
Chissà  perché noi nel diventare grandi, perdiamo quella semplicità . 
Chissà  perché ci ostiniamo a rendere tutto così cupo e triste, giustificando in tutti i modi questo strano comportamento. 
Mah.
Dovremmo ritrovare, noi i grandi, il coraggio di fare un salto al centro della  pozzanghera provando il piacere di saltare tra la felicità . 
Il tempo è passato, vado.  

Luna piena

Oggi Morfeo sembra aver deciso di voler saltare il suo appuntamento con me.
Capita a tutti, molte volte, ma ognuno ha il suo metodo per cercare di richiamarlo all’ordine.
C’è chi legge, chi conta qualche ovino, chi ascolta della buona musica, chi fa ricorso a tisane o pozioni magiche e chi utilizza mille altri metodi testati e non.
Poi ci sono io.
Io guardo attraverso la finestra.
È stato a causa di questo mio rimedio strampalato che mi sono accorto di lei.
La luna piena.
È lì in alto, forte della sua luce, anche se non le appartiene.
Non se ne preoccupa.
Tronfia di non dover subire l’ombra di nessuno.
Anche le nuvole hanno deciso di accontentarla lasciandole il campo libero.
Mi sembra di sentirla ridere di gusto, con la pancia gonfia, il mantello legato al collo e lo scettro in mano, cercando di dare ordini a tutti.
Lei è così, passa dai giorni bui in cui non si vuole far vedere da nessuno, ai giorni in cui è talmente presente e lucente da doverla rinchiudere in qualche sgabuzzino con una benda sulla bocca.
Suvvia, un po’ come tutti noi.
Anche noi come lei abbiamo momenti bui e di luce.
Anche noi come lei mentiamo e siamo sinceri.
Anche noi come lei giriamo intorno a qualcosa o qualcuno.
In pratica, lei è lì, per ricordarci della normalità  di essere umani.
È proprio strana la luna, regala e toglie, come noi.
È umana.

Corsi e ricorsi

Giambattista Vico

Giambattista Vico è stato il creatore della teoria dei “Corsi e ricorsi storici”.


Sosteneva:

“alcuni accadimenti si ripetono con le stesse modalità , anche a distanza di tempo e ciò non avviene per caso, ma per un disegno della Divina Provvidenza”.


Questo per dire che a volte sembra essere così, e tendenzialmente non è un male.


Un male lo diventa quando il “ricorso storico” rappresenta fatti vomitevoli di persone ipocrite, false, meschine.


Quando il vile si erge a puro di spirito giudicando il prossimo con durezza, ma “ricorre”, nascosto nell’oscurità , il comportamento miserabile e spregevole.


Quando il povero di spirito è terrorizzato dal dover subire una condotta che egli stesso fa di tutto per praticare e mettere in atto, perché ne è soggiogato, e non può fare a meno di farlo “ricorrere” più e più volte.


Caro Giambattista la tua teoria (forse esatta) dovrebbe abituarci alle brutture, ma il disgusto per questi accadimenti è così imponente, che non si può fare a meno di rabbrividire dinanzi all’obbrobrio della mediocrità  di tali esseri immondi.

Uomo in frac

Vecchio frac – Ascoltalo anche tu

La mente è strana.
In casa c’è qualche grado di troppo, non ci si può addormentare così.
Apro la finestra per far entrare quel leggero venticello che ha appena la forza di scuotere le foglie più in cima degli alberi davanti a me.
Questi ultimi giorni di vacanze hanno regalato un insolito silenzio.
Nessun rumore artificiale.
Si sente in lontananza il canto rassicurante di qualche grillo annoiato.
Dovrebbe esserci la luna piena ad illuminare tutto, ma è coperta dallo strato di nuvole che ha deciso di interporsi nel mezzo.
Provando a volgere lo sguardo un po’ più in basso, si nota senza fatica un lampione.
Lui è sempre lì.
Alto, fiero, imperscrutabile, quasi discreto.
Sempre pronto a fare il suo lavoro.
Non lo nota mai nessuno, ma rassicura chiunque abbia la fortuna di passare sotto di lui.
Oggi invece no.
È malato.
La sua luce non è costante.
È fioca e intermittente.
Sembra voglia fare l’occhiolino ai pochi passanti, ma senza convinzione.
Lo guardo, comincio a fissarlo.
In quel momento la mente mi gioca uno strano scherzo.
Fa’ riaffiorare come un fulmine, da chissà  quale cassetto nascosto, una vecchia canzone di qualche generazione indietro.
Vecchio frac di Domenico Modugno.
Mi vien da sorridere e l’ascolto.
Chissà  se quell’uomo con il cilindro in mano è ancora in giro.

Ascolta

Quando sei in riva al mare, c’è un momento, non appena il sole tramonta, in cui tutto si ovatta.
Dura pochi minuti.
Se chiudi gli occhi e provi ad ascoltare, percepirai la gioia dei bambini e dei loro giochi, la spensieratezza degli amici e dei loro scherzi, gli sguardi di intesa di una giovane coppia e dei loro sorrisi.
E’ in quel preciso momento che il mare ti svuota di ogni tensione e preoccupazione, regalandoti la pace, la serenità  e la tranquillità  di cui si ha terribilmente bisogno.