Stando al centro della piazza e voltando il viso in ogni direzione, si riesce a spedire lo sguardo talmente lontano, da non esserci abituati.
È una strana sensazione, disorienta.
Un posto solitamente affollato, in cui ci si scontra ad ogni passo con gli occhi di uno sconosciuto, ora è totalmente privo di parole.
Il silenzio è così rumoroso da non riuscire a restare immobile più di qualche minuto.
Nulla che possa dare respiro ad un angolo abituato ad essere vita.
Stiamo vivendo un periodo strano, quasi alieno.
A causa di un’epidemia tra gli uomini, capace di colpire sia il corpo, falciandolo, sia il buon umore e la voglia di vivere, tutto si è svuotato.
Il vuoto creato è talmente cupo da sentire l’eco di se stesso.
La mente, guerriera contro questo esercito invisibile, rimescola i ricordi degli anni passati.
Ricordi nitidi nei giorni in cui questa stessa piazza era piena zeppa di risate.
Questo perché, era il periodo in cui i bambini ricoprivano ogni centimetro di suolo con i coriandoli, le stelle filanti e grosse risate lanciate senza remore in ogni angolo.
Si divertivano prendendosi gioco di loro e tra loro.
Suoni amplificati e colori sgargianti erano il tavolo su cui bandire il pranzo di quei giorni.
Era il periodo in cui indossare una maschera, senza destare sospetti, era consentito.
Perfino il cielo si mascherava vestendosi con i suoi abiti più belli, azzurri di un azzurro accecante, ma burlandosi di tutti ripuliva la terra con una brezza gelida.
Oppure si nascondeva dietro infiniti batuffoli di cotone bianco, tali da riempire lo spazio immenso sopra le nostre teste.
La luce proveniente dal sole, colorata da un caleidoscopio di minuscoli riflessi, riscaldava i cuccioli di uomo troppo impegnati a giocare, per farsi avvolgere dal freddo.
I bambini attendono un intero anno per essere qualcun’altro.
Sono incapaci, loro, di nascondere il proprio essere.
L’essere bambino è un pregio che si perde durante la cavalcata della vita.
L’essere bambino regala la necessità di mostrarsi sempre per come si è davvero, nel bene e nel male.
Mostrare ogni singola emozione: rabbia, frustrazione, felicità , amore o qualunque essa sia, senza paura di essere giudicati, rappresenta l’essere dell’essere fanciulli.
Poi si cresce.
Si diventa adulti e si impara l’arte di indossare una maschera ogni giorno – sempre diversa. –
Ogni mattina si sceglie una maschera, così come si sceglie un vestito.
Davanti allo specchio cerchiamo i cambiamenti avvenuti nella notte.
I nuovi solchi nati sul viso, come un aratro fa con la terra, modellano le pieghe vecchie e nuove.
Da lì trapelano i sentimenti che ci invaderanno in quella giornata; così li copriamo.
Ci omologhiamo a quello a cui vogliamo anelare, piuttosto che mostrare una piccola parte della nostra anima.
Decidiamo razionalmente chi dobbiamo essere quel giorno.
Una finzione continua con noi e gli altri.
È l’indossare continuamente queste maschere il motivo per cui nasce l’esigenza o la necessità degli adulti, di voler di tanto in tanto rimanere soli.
Amici miei avete mai visto un bambino desiderare di voler restare solo?
No, assolutamente.
Al contrario, i bambini temono l’essere abbandonati, più di ogni altra cosa al mondo.
Temono di essere privati del mantello sicuro di un paio d’occhi adulti.
Mentre noi adulti abbiamo, sentiamo, la necessità di purificarci, scrollandoci dalle stanche spalle tutte le menzogne raccontate nei giorni precedenti.
Così ci chiudiamo.
In silenzio, soli, ad essere ciò che siamo realmente.
A gettare via dalle spalle lo zaino colmo di maschere pronte per ogni evenienza.
Colmo di finzione.
Abbracciamo questa forma di purificazione – l’isolamento – per avere la possibilità di riprendere, più forti di prima, la giornata successiva con una nuova maschera.
Questa convinzione è talmente radicata in noi, da non essere più in grado di riconoscere qualcuno deciso a mostrare solo se stesso.
Lo attacchiamo – spaventa. –
Spaventa trovarsi a pochi centimetri con qualcosa di sconosciuto.
Un essere umano vestito esclusivamente del suo io.
Una novità che non ci appartiene.
Davanti a tutto questo, l’unica via di fuga è quella di combatterlo, scacciandolo come un appestato.
Senza immaginare di aver allontanato proprio ciò che cerchiamo da sempre: qualcuno che è solo se stesso.
La pace
Le nostre giornate, solitamente, sono scandite da ritmi in grado di far impallidire un batterista metal mentre si esibisce in uno dei suoi assoli più riusciti.
Incastriamo il lavoro, gli impegni, le commissioni come fosse un immenso puzzle.
Puzzle costruito, pezzo dopo pezzo, facendo attenzione a scovare quello giusto al primo tentativo.
Ma ahimè, a volte capita, di prenderne uno errato e inevitabilmente tutto deve essere riprogrammato, rivalutato, aggiustato.
Un cascata di eventi difficile da contenere.
Allo stesso modo gestiamo il tempo libero.
Avidi nel voler imparare nuove attività , conoscere nuove persone, provare esperienze diverse, da non essere capaci di godere del presente.
Nella testa il pensiero ricorrente è uno solo: il momento successivo.
Lo facciamo tutti, lo faccio anche io.
Questa routine andrà avanti finché non si avvertirà l’opprimente necessità di una pausa, di staccare, di dire basta.
E’ quello il momento in cui sfrutti la fortuna di avere a disposizione dei posti magici dove potersi ricaricare, svuotarsi, riprendere a vivere.
Ognuno di noi ne ha uno, non è un posto oggettivo, ma scelto tra tanti, il più delle volte trovato per caso.
Il mio: una panchina, verde.
In una piazza dalla pianta quadrata e illuminata interamente da un tiepido sole di giorno ed un esercito di lampade dai colori caldi di notte.
Circondata su tre lati da storici palazzi costruiti lì volutamente – per abbracciare chiunque passi o si fermi in quell’angolo – ricoperta da brillanti e levigate pietre naturali.
Il quarto lato aperto.
Una finestra affacciata su una distesa d’acqua azzurra mossa leggermente dai venti spinti verso il basso dalle vicine montagne.
Acqua mai immobile, ricoperta da una fitta rete di increspature in movimento.
Questo movimento diffonde una delicata sinfonia dai toni lievi tale da permettere all’anima di riprendere a respirare.
Ed è lì, in quel posto specifico dove tutto si ferma, dove non ci sono lotte, dove si è soli con se stessi che tutto si riallinea, tutto ritorna alla normalità .
Perché nonostante ci siamo costruiti una vita fatta di affanni, regole, piccoli scontri travestiti da consuetudini, a volte quello di cui abbiamo bisogno è solo un po’ di pace.