Le cose diventano più dolci quando sono perdute. Lo so: perché una volta volevo qualcosa e l’ho ottenuta. È stata la sola cosa che abbia mai voluto davvero, Dot. E quando l’ho ottenuta mi si è ridotta in polvere fra le mani.
Belli e dannati
Aristotele
Italo Calvino
E lei: Tu credi che l’amore sia dedizione assoluta, rinuncia di sé. Era lì sul prato, bella come mai, e la freddezza che induriva appena i suoi lineamenti e l’altero portamento della persona sarebbe bastato un niente a scioglierli, e riaverla tra le braccia… Poteva dire qualcosa, Cosimo, una qualsiasi cosa per venirle incontro, poteva dirle: Dimmi che cosa vuoi che faccia, sono pronto. E sarebbe stata di nuovo felicità per lui, la felicità insieme senza ombre. Invece disse: non ci può essere amore se non si è sé stessi con tutte le proprie forze.
Il barone rampante
Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.
Lezioni americane
Al termine di un viaggio per raggiungere l’amante, un uomo capisce che la vera notte d’amore è quella che ha passato in uno scomodo scompartimento di seconda classe correndo verso di lei.
Gli amori difficili
Apuleio
Victor Hugo
La suprema felicità della vita è sapere di essere amati per quelli che si è, e più precisamente, di essere amati nonostante quello che si è.
I miserabili
Incontrarsi fu trovarsi. Nel momento misterioso in cui le loro mani si toccarono, esse si saldarono. Quando quelle due anime si scorsero, si riconobbero come necessità reciproca e si abbracciarono indissolubilmente.
I miserabili
Marcel Proust
Se ora le dicevo “addio per sempre” era perché volevo assolutamente che tornasse entro una settimana; se le dicevo “sarebbe pericoloso vederti”, era perché volevo rivederla; se le scrivevo: “hai ragione, saremmo infelici insieme”, era perché vivere separato da lei mi pareva peggiore della morte.
La fuggitiva
I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere vittime, e , con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in se medesimo, e che, se dice il contrario, mente.
Alla ricerca del tempo perduto
Milan Kundera
Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta – e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere.
L’identità
In greco, ritorno si dice nòstos. Àlgos significa sofferenza. La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
L’ignoranza
Tomas si diceva: fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un’unica donna).
L’insostenibile leggerezza dell’essere
Forse se fossero rimasti insieme ancora per qualche tempo, avrebbero cominciato a capire a poco a poco le parole che dicevano. I loro vocabolari si sarebbero pudicamente e lentamente avvicinati l’uno all’altro come amanti molto timidi, e la musica dell’uno avrebbe cominciato a intrecciarsi con la musica dell’altro. Ma è troppo tardi.
L’insostenibile leggerezza dell’essere
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi. La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata. E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori.
L’insostenibile leggerezza dell’essere
Vuoto
Nella notte, vago senza meta incurante del nulla che circonda il corpo, con il freddo fedele compagno a indicarmi la via.
I sogni, una volta bambini felici occupati a giocare nel campo dei desideri, ora esseri assenti fuggiti in continenti di loro simili.
Il silenzio spegne i ricordi: plotone d’esecuzione delle speranze.
L’illusione di ritrovare un percorso conosciuto ha abbandonato la possibilità di riuscirci.
Le braccia, autostrade lungo i fianchi, disegnano oscillando l’unico spazio occupato dal non essere qualcuno per nessuno.
L’assenza del mondo esterno ha riempito l’involucro lasciato vuoto da qualcosa che in passato era.
L’ombra, da sempre rappresentazione dell’essere visibile, mi ha tradito fuggendo con l’ultimo raggio di sole sbiadito fino a diventare tenebra.
Il vuoto ha preso il posto di ogni mancanza, e la mancanza è divenuta la rappresentazione dell’essere.
Il dolore – sentimento spento dalla malinconia – è incapace di ridare ossigeno a ciò che una volta era vita.
La tristezza, divenendo corpo e assumendo sembianze di uomo, ha sepolto la luce per far risplendere l’oscurità .
Quello che è stato, non è e non sarà , ma forse sarà stato.
Emanuela
La fiamma del camino, ardente, riscaldava con un accogliente tepore la stanza.
I colori caldi, provenienti dalla vicina fonte di calore naturale, illuminavano l’ambiente tinteggiandolo con toni sempre differenti.
Lo scoppiettio delle braci spezzava, con delicatezza, il silenzio calato in quell’istante.
Un dipinto in continua evoluzione.
Noi sprofondati tra le braccia morbide del divano con in mano un bicchiere di buon vino.
Nel mezzo di questa cornice, la solita storia raccontata più e più volte, ma sempre piacevole da ascoltare.
I genitori amano novellare alcuni aneddoti più di altri, forse perché rappresentano qualcosa di importante o forse perché quella storia, oltre a riviverla con la mente, la rivivono con il cuore.
“Sapete che Emanuela non doveva chiamarsi Emanuela?”
“No papà questa storia non l’abbiamo mai sentita! – Oggi. -“
“Prima che vostra sorella nascesse, con la mamma avevamo deciso di darle un altro nome. Il giorno che venne alla luce dovevo andare a registrare la nascita dal funzionario comunale, e passai per salutare.”
“Dai papà , continua ti prego, si fa avvincente la cosa!”
“Sei un cretino. Dicevo; nel salutare ho avvisato la mamma che sarei andato dal funzionario a registrare Emanuela, chiedendole, confermiamo Alessandra come nome?”
La risposta fu “ah non ti preoccupare, ho già fatto io, l’ho chiamata Emanuela.”
Ecco; Emanuela ha iniziato la sua vita così: con il brivido di essere un’altra persona.
Non so se il nome influenza davvero l’essere umano, ma a me piace così com’è, quindi sono contento sia arrivata da noi con il nome di Emanuela.
Questi sono i ricordi aggrappati al cuore dei miei genitori, mentre se io avvolgo indietro la pellicola in cui sono impressi i miei, il primo fotogramma è quello di un batuffolo bianco pieno zeppo di puntini rossi.
E’ un’immagine nitida, forse amplificata dall’avere riposta in qualche cassetto impolverato, una fotografia di quel momento, di quei giorni.
Una bimba paffutella, stesa nel suo lettino, alle prese con il morbillo.
Il viso ed il corpicino coperto da un naturale vestitino a pois.
Gli occhioni, tinti di un verde impenetrabile sempre spalancati, sono il suo biglietto da visita insieme al sorriso in primo piano.
Mostrano la gioia di essere al mondo e regalano, incondizionatamente, fiducia a chi ha la fortuna di percorrere con lei qualche passo di questa vita.
Io ho percorso un tratto di strada breve prima di essere investito dalla nascita di Emanuela.
Dopo essermi goduto la comodità , i privilegi, dell’essere figlio unico, all’improvviso mi sono visto recapitare a domicilio un altro essere umano.
“Chissà perché mamma e papà hanno portato a casa un’altra bambina, boh!”
Così dopo aver fatto scorta di coccole e attenzioni per qualche anno, mi sono ritrovato a dover condividere tutto con Emanuela.
In quegli anni vivevamo in una casa talmente piccina da non avere una nostra cameretta.
Condividevamo ogni angolo, ogni sguardo, ogni respiro.
In pochissimo tempo siamo diventati una coppia di fatto.
Siamo cresciuti insieme guardandoci le spalle.
Ci siamo affezionati, l’un l’altro, immediatamente.
Le litigate, immancabili ogni giorno, erano il filo conduttore del nostro amore.
Emanuela cresceva, la sua proverbiale attenzione ai particolari si acuiva e sparigliarle le carte in tavola non la faceva mai arrabbiare.
Lei è così: nascosta dietro alla figura quasi austera, impenetrabile, sempre perfetta, si nasconde un cuore d’oro incapace di mostrare rancore.
Emanuela non parla, dimostra.
Dimostra quotidianamente il suo valore, così come dimostra i sentimenti senza sbandierarli.
Non lancia parole al vento.
Mostra cosa ha dentro e cosa puoi perdere se rinunci a lei, senza illusioni.
Emanuela è la persona che pur di farti felice, se può, ti toglie un pezzo di infelicità per farsene carico.
Emanuela dona.
Dona ciò che possiede nelle mani o ciò che fa parte di se stessa.
Oggi è il compleanno di Emanuela, e ne approfitta per aggiungere un pezzo di esperienza alla pila riposta sempre al suo fianco, perché lei fa così: conserva tutto dentro il cuore adagiandolo su un trono morbido per farlo sentire protetto, al sicuro, a costo di dover usare il suo corpo per difenderlo.
Ma oggi è il giorno di riscuotere.
Oggi le persone importanti – per te – hanno la possibilità di allargare le braccia, e per una volta, lasciarti appoggiare la testa sulle loro spalle sussurrandoti “oggi spetta a noi pensare a te.”
Io non potrò esserci, e spero che la vita decida finalmente di donarti qualcosa capace di farti urlare: “GRAZIE.”
Buon compleanno Ema, ti voglio un gran bene.