Il caldo tepore estivo riscaldava l’aria circostante.
L’assenza di nuvole metteva in risalto la luce brillante della luna, impegnata a provare il vestito elegante che avrebbe indossato il giorno di massimo splendore.
Una miriade di piccoli frammenti brillanti, provenienti da quella luna, continuavano a tuffarsi nelle acque immobili del grande specchio d’acqua adagiato pochi metri più in basso.
Il profumo dei fiori sbocciati da pochi giorni riempiva i polmoni cullando lo spirito.
Al lato, una fila ordinata di alberi dalla grande chioma.
Chiome ricolme di foglie vestite con un mantello verde smeraldo.
Avevano un compito da svolgere: provvedere alla sicurezza del posto.
Sembravano un piccolo esercito silenzioso di soldati in grande uniforme, eleganti nella loro formalità .
Sotto di loro una panchina – legno marrone – ed io seduto a concedermi un momento di pace, silenzio, relax.
Da quella posizione riuscivo a scorgere davanti a me un piccolo muricciolo, un trampolino sulle acque del lago.
A rallegrare, rompendo il silenzio del momento, una famiglia di paperotti parlottanti.
In testa mamma papera, a seguire i giovani e disciplinati figlioletti, tenerissimi nei loro goffi movimenti esercitati ancora troppo poco.
Ad interrompere quella quiete, qualche minuto più tardi, due bambini.
Arrivati correndo dal lato opposto al mio.
Il loro traguardo sarebbe stato quel muricciolo, usato al termine della gara come panchina.
Due bimbi come tanti altri.
Lui: visino timido, capelli cortissimi e biondi, se non fosse stato per la giovane età avrei potuto azzardare quasi argento.
Lei: faccia furbetta, lunghi capelli neri raccolti in una coda disciplinata e qualche anno in meno di lui.
Seduti uno di fronte all’altro, con una gamba poggiata sulla solida pietra e l’altra penzoloni, un escamotage per non rimanere immobili.
Dalla mia posizione di privilegio riuscivo a notare il loro guardarsi negli occhi, ed ascoltare da bravo impiccione la loro conversazione, una scena molto dolce.
“Sei in vacanza?”
“No io abito qui, in quella casa là in fondo.”
“Io sono in vacanza, con mamma e papà .”
“Quanti anni hai?”
“Dieci.”
“Perché ridi sempre?”
“Perché non mi piace farmi vedere triste.”
“Tu non ridi mai?”
“Solo quando mi diverto.”
Quei due marmocchi hanno continuato il loro scambio di battute con lo scopo di conoscersi fino all’arrivo del gruppetto dei genitori – i disturbatori -.
Come sempre noi adulti abbiamo la capacità di rovinare i momenti belli dei nostri figli o dei bambini, privandoli giorno dopo giorno della loro naturalezza, semplicità o ingenuità .
Ristabilita la composizione delle famiglie sono andati via, ognuno per la sua strada.
Mi piace coltivare l’idea di saperli, il giorno dopo o quelli successivi, nuovamente insieme a raccontarsi le loro giovani vite, a giocare insieme, a costruire un’amicizia nata per caso in quel posto a due passi da un lago calmo e sorridente.
Sono ritornato a distanza di mesi su quella panchina.
Nella stagione opposta all’estate.
È tutto cambiato.
Il cielo è così coperto dalle nubi che la luna sembra essersi nascosta dietro una porta d’acciaio impenetrabile.
Gli alberi hanno perso le foglie, non sono riusciti a non farsi colpire dai proiettili del gelo, e infreddoliti attendono l’arrivo della nuova primavera.
Lo specchio d’acqua una volta piatto e sereno ora è in preda ad uno stato di turbamento, rabbia e malinconia continua.
Il profumo ha abdicato il trono in favore di un olezzo irriconoscibile.
La famiglia dei paperotti non si vede in giro, immagino siano abbastanza cresciuti per affrontare la vita in totale autonomia.
Ma soprattutto non ci sono più quei due bambini.
Non so perché ho sperato di trovarli ancora lì, a giocare fra di loro, divertirsi, a passare il tempo con spensieratezza.
Chissà dove sono, forse a scuola, forse ad allenarsi in qualche sport o a guardare semplicemente i cartoni in TV, ma ognuno occupato con i propri impegni.
Di certo non sono più lì.
Il lago
La pace
Le nostre giornate, solitamente, sono scandite da ritmi in grado di far impallidire un batterista metal mentre si esibisce in uno dei suoi assoli più riusciti.
Incastriamo il lavoro, gli impegni, le commissioni come fosse un immenso puzzle.
Puzzle costruito, pezzo dopo pezzo, facendo attenzione a scovare quello giusto al primo tentativo.
Ma ahimè, a volte capita, di prenderne uno errato e inevitabilmente tutto deve essere riprogrammato, rivalutato, aggiustato.
Un cascata di eventi difficile da contenere.
Allo stesso modo gestiamo il tempo libero.
Avidi nel voler imparare nuove attività , conoscere nuove persone, provare esperienze diverse, da non essere capaci di godere del presente.
Nella testa il pensiero ricorrente è uno solo: il momento successivo.
Lo facciamo tutti, lo faccio anche io.
Questa routine andrà avanti finché non si avvertirà l’opprimente necessità di una pausa, di staccare, di dire basta.
E’ quello il momento in cui sfrutti la fortuna di avere a disposizione dei posti magici dove potersi ricaricare, svuotarsi, riprendere a vivere.
Ognuno di noi ne ha uno, non è un posto oggettivo, ma scelto tra tanti, il più delle volte trovato per caso.
Il mio: una panchina, verde.
In una piazza dalla pianta quadrata e illuminata interamente da un tiepido sole di giorno ed un esercito di lampade dai colori caldi di notte.
Circondata su tre lati da storici palazzi costruiti lì volutamente – per abbracciare chiunque passi o si fermi in quell’angolo – ricoperta da brillanti e levigate pietre naturali.
Il quarto lato aperto.
Una finestra affacciata su una distesa d’acqua azzurra mossa leggermente dai venti spinti verso il basso dalle vicine montagne.
Acqua mai immobile, ricoperta da una fitta rete di increspature in movimento.
Questo movimento diffonde una delicata sinfonia dai toni lievi tale da permettere all’anima di riprendere a respirare.
Ed è lì, in quel posto specifico dove tutto si ferma, dove non ci sono lotte, dove si è soli con se stessi che tutto si riallinea, tutto ritorna alla normalità .
Perché nonostante ci siamo costruiti una vita fatta di affanni, regole, piccoli scontri travestiti da consuetudini, a volte quello di cui abbiamo bisogno è solo un po’ di pace.