Non amo i rompicapo o gli indovinelli, non riesco a risolverli perché tendo a immaginare soluzioni più criptiche del necessario.
Non mi piace giocare a carte, non sono competitivo e mi annoia.
Non amo i puzzle.
Lo trovo un passatempo noioso, indisponente, quasi stressante.
Scontrarmi con l’idea di dover trovare il modo giusto di comporre una figura, indipendentemente dall’essere composta da quattro o da un milione di pezzi, non mi attrae.
Preferisco fare altro, tanto altro, ma come tutti credo, anche io ne ho fatti alcuni.
A volte per il piacere di provare, altre per il dovere di esserci e condividere il momento.
Per risolvere un puzzle ognuno usa una propria strategia.
C’è chi divide i tasselli in tanti mucchietti dallo stesso colore.
C’è chi divide i tasselli in tanti mucchietti raggruppando le macro-aree dell’immagine finale.
C’è chi parte dai bordi per allineare il lato dritto privo di curvature.
C’è chi inizia risolvendo un particolare centrale molto evidente ricostruendolo fino ai bordi.
Tralasciando ora la strategia d’attacco ciò che conta è il risultato: riuscire a giungere alla figura completa.
I puzzle nascono con l’aiuto incorporato, per essere costruiti si può e si deve seguire l’immagine d’esempio rappresentata sulla scatola o nel libretto delle istruzioni.
Una piccola certezza dei blocchi di partenza e la sicurezza di quale sarà il trofeo ottenuto una volta aver superato la bandiera a scacchi.
Ora immagino ci sarà tra di voi l’appassionato temerario risolutore di puzzle capace di gareggiare con la benda sugli occhi, senza usare l’aiuto, senza dare mai un’occhiata all’immagine completa.
Sei una mosca bianca, questo racconto non vale per te, sei dispensato.
Per il resto della popolazione, la parte complessa della costruzione la si incontra quando l’immagine guida non c’è, non esiste, non viene messa a disposizione.
È come avere una scatola totalmente bianca o priva di fogli illustrativi.
Se si vuole esagerare con la difficoltà si può aggiungere la possibilità di non avere un numero finito di tasselli, con la capacità di variare la quantità dei pezzi durante la costruzione.
Il puzzle dei puzzle.
Non si ha idea del numero finale degli incastri a disposizione e non si possiede un modello da seguire.
Ho l’impressione di sentire delle urla provenire dal fondo della sala:
“Non esiste un puzzle così, non può essere prodotto, venduto, comprato nè risolto.”
Eh no amico mio, qui ti sbagli, devo contraddirti.
In realtà è un rompicapo esistente e tentiamo di risolverlo tutti noi, tutti i giorni.
Lo facciamo al lavoro.
Giornate passate a trovare l’espediente, la soluzione, il tassello mancante per non bloccare gli ingranaggi di una produzione, di un processo, di un’idea cosicchè al termine sia tutto perfetto e fatto a regola d’arte.
Lo facciamo con noi stessi.
Nasciamo e siamo programmati per cercare il pezzo giusto, quello capace di incastrarsi con noi, di regalarci serenità , felicità , ma come con per i puzzle a volte si è fortunati con la prima tessera altre si dovrà provare più volte.
Lo facciamo con il rapporto con gli altri.
Quest’ultimo è il puzzle dei puzzle.
Quello con la scatola totalmente bianca, priva di indizi e inconsapevole del numero dei pezzi utilizzati per risolvere l’arcano disegno.
Ore, giorni, mesi, anni passati a decifrare l’enigma del rapporto con chi ci circonda.
Si comincia con una strategia: inutile.
Si cambia angolo d’attacco: forviante.
Si passa ad un approccio razionale: lento.
Si decide di tentare un metodo emotivo: nulla di fatto.
Si va avanti così provando infinite opzioni diverse e nonostante questo capita molto spesso di non venirne a capo.
Ci si trova di fronte alla frustrazione di non avere un pezzo del puzzle coincidente con un altro.
Navighi a vista.
Cerchi con uno sforzo di immaginazione di presumere quale possa essere l’immagine finale.
Qual è il tassello mancante in grado di dare il via alla risoluzione del rompicapo, di spiegare le dinamiche incomprensibili del rapporto che si cerca di comprendere, di dargli un senso.
Fintantoché non c’è la svolta.
All’improvviso salta fuori la tessera mancante, quella più importante, la chiave di volta dell’intero mosaico.
Come per magia te la ritrovi davanti agli occhi: “puff”!!
Caduta a terra, finita sotto un tavolo, nascosta dietro le altre come lei.
Servita su di un piatto d’argento dà inizio allo tsunami della risoluzione.
Dove prima c’era la nebbia ora compare il sole.
Dove prima c’era incomprensione ora tutto assume un senso logico, lineare, tale da dare una visione razionale anche a qualcosa di totalmente irrazionale come un rapporto tra persone.
Dove prima c’erano un ammasso di piccoli pezzi dalla forma irregolare ora prende forma una figura nitida, completa, limpida.
La confusione lascia il posto all’ordine, alla chiarezza, alla limpidezza.
Quel piccolo tassello mancante dona a tutto l’insieme un senso.
Il puzzle è risolto, l’immagine è completa.
Cambiamenti
Non ho mai compreso come la notte riesca a cambiare le persone.
E’ una regola non scritta.
Tante giornate passano allo stesso modo, tutte uguali.
Una la fotocopia dell’altra.
O al contrario ognuna diversa dall’altra, ma la costante rimane, una costante c’è, esiste.
Sei te stesso, adagi il corpo sul letto, affievolisci l’ultima fonte di luce artificiale rimasta in vita per orientarti nello spazio circostante, rilassi le palpebre e attendi il sonno.
Superate le lunghe ore di oscurità , i flebili raggi del sole rischiarano la stanza.
Ritrovi prima il corpo e successivamente tutto quello portato dentro di te; siano esse paure, convinzioni, certezze, emozioni, sentimenti.
Ecco la costante:
la sicurezza di ricominciare la nuova giornata dallo stesso punto in cui la si era lasciata prima della visita di Morfeo.
Una delle poche certezze a cui affidarsi.
Invece no.
L’apparente certezza crolla, perde le sue fondamenta, si inabissa.
All’improvviso, non si sa come, non si sa perché, non si sa quando, qualcosa va storto.
Il sole inizia a illuminare la stanza, gli occhi riprendono vita lentamente, il corpo rimane immobile per qualche istante: è pesante, privo di sensibilità .
La mente cerca di comprendere, focalizzare, intuire cosa sia accaduto.
Passa in rassegna ogni angolo della stanza.
Ogni oggetto viene sottoposto ai raggi X.
Il cervello cerca di ricostruire il mondo circostante tentando di allinearlo ai ricordi custoditi all’interno della propria memoria.
Apparentemente sembra tutto uguale, ma qualcosa è cambiato.
Esteriormente sei sempre tu, ma dentro qualcuno ha sostituito qualche pezzo, ha riscritto qualche pagina, ha cancellato qualche ricordo o lo ha rimpiazzato con un altro, migliore o peggiore non si sa, ma diverso.
Ti guardi allo specchio, ogni ruga è al suo posto, ogni capello è rimasto incollato alla testa, ma non ti riconosci.
Qualcosa si interpone tra te e lo specchio, abbassi lo sguardo, pensi, cerchi di ascoltare quella voce interna che normalmente ha sempre tanto da dire, ma oggi è muta, oggi è stranamente assente.
Si prende gioco di te, nessun suggerimento.
Durante la giornata dovrai o potrai tentare di comprendere cosa non è più come prima.
Una beffa, un gioco senza regole o una fissata in contrasto con l’altra, tutto pensato solo per divertire quel voyeurista del destino.
Così tutto cambia con l’apparenza esteriore dell’essere tutto identico.
Cambiamenti che ti faranno percorrere strade differenti da quelle del giorno precedente.
Strade differenti in cui non troverai più gli stessi alberi ai lati, gli stessi fiori sui bordi, la stessa illuminazione, lo stesso percorso, lo stesso arrivo.
Forse ce ne saranno di più belli, forse di più brutti, di certo non potrai saperlo perché non potranno essere confrontati.
Forse all’arrivo troverai un regno in cui sarai il sovrano o forse all’improvviso finirai in un burrone senza fine.
E in questo mondo di incertezze l’unica certezza rimarrà la certezza del cambiamento -subìto -.
1 + 1 = 1
Riprendere la quotidianità dopo aver trascorso le meritate – solo per alcuni – giornate di vacanze ha i suoi pregi.
Ci si ritrova a riempire nuovamente i viottoli svuotati dal caldo.
Grandi deserti lasciati in balia di coraggiosi animali – privi di alcun padrone – si trasformano nuovamente in floride piazze rigogliose di persone pronte a calpestarne ogni centimetro.
Tutto viene rinnovato, tutto ricomincia, tutto riprende forma.
La fine dell’estate assomiglia ad un nuovo inizio: una sorta di capodanno a settembre.
Il momento in cui si guarda dietro le proprie spalle e si tiranno le somme.
Chissà perché, di tanto in tanto, sentiamo la necessità di fare il punto della situazione, verificare se i piani fatti fino a quel momento sono stati rispettati oppure qualcosa è andato in modo diverso – non necessariamente storto – a volte meglio del previsto.
Si ripercorrono con la mente le giornate calde appena consumate, usate, anche vissute.
Periodo – quello estivo – abile nel regalare momenti euforici o al contrario totalmente abissanti, ma incapace di rimanere immobile; incapace di quell’anonimato tanto sbandierato dalle altre stagioni.
Immerse in una via del centro, confuse tra uno stuolo di anime irrequiete, due donne: una zia con la piccola nipotina.
Una ragazza giovane, minuta, con lunghi capelli neri sfumati da punte color mogano.
L’incedere elegante stretta nelle piccole spalle, il viso furbo illuminato dai suoi occhi azzurri: pronti a cogliere ogni sfumatura proveniente dal mondo circostante, ma soprattutto dal piccolo satellite – tenuto per mano – in grado di rallentarne l’andatura.
“Zia, ma uno più uno fa uno?”
“A volte sì amore”
“Perché non sempre?”
“Perché se a sommarsi sono persone da due ne viene fuori un’altra – nuova. -“
La piccola bimba bionda, dai grandi occhioni neri neri, il viso paffuto e perplesso volgendo lo sguardo interrogativo verso l’oracolo alla sua sinistra, dopo un momento di incertezza è scoppiata in un incontenibile risata.
Quella risposta inaspettata e totalmente fuori portata per una piccola donnina appena affacciata alla vita, le sarà sembrata una battuta di spirito, tanto da non riuscire a placare l’ilarità scaturita da quella affermazione.
“Zia, ma cosa stai dicendo… hahahaha” e con la sfrontatezza dell’ingenuità :
“non capisci proprio niente, la nonna lo sa, lo chiedo a lei.”
Non so perché quella normale coppia avesse attirato la mia attenzione, e non so cosa stesse pensando la giovane ragazza per aver dato d’impulso quella risposta.
Aver affidato ad una bambina una affermazione così romantica, dalle mille sfaccettature e con miriadi di interpretazioni diverse è stata una bella scoperta.
In un periodo in cui tutto è dato per scontato, dove i rapporti umani sono coltivati – per fortuna non sempre – su campi aridi, dove l’altruismo è merce rara e vista con occhi diffidenti, ascoltare qualcosa di poco prevedibile – ma bello – mi ha lasciato il piacere di sperare e la consapevolezza di ringraziare.
Ringraziare il presente.
Sperare nel futuro.
La pace
Le nostre giornate, solitamente, sono scandite da ritmi in grado di far impallidire un batterista metal mentre si esibisce in uno dei suoi assoli più riusciti.
Incastriamo il lavoro, gli impegni, le commissioni come fosse un immenso puzzle.
Puzzle costruito, pezzo dopo pezzo, facendo attenzione a scovare quello giusto al primo tentativo.
Ma ahimè, a volte capita, di prenderne uno errato e inevitabilmente tutto deve essere riprogrammato, rivalutato, aggiustato.
Un cascata di eventi difficile da contenere.
Allo stesso modo gestiamo il tempo libero.
Avidi nel voler imparare nuove attività , conoscere nuove persone, provare esperienze diverse, da non essere capaci di godere del presente.
Nella testa il pensiero ricorrente è uno solo: il momento successivo.
Lo facciamo tutti, lo faccio anche io.
Questa routine andrà avanti finché non si avvertirà l’opprimente necessità di una pausa, di staccare, di dire basta.
E’ quello il momento in cui sfrutti la fortuna di avere a disposizione dei posti magici dove potersi ricaricare, svuotarsi, riprendere a vivere.
Ognuno di noi ne ha uno, non è un posto oggettivo, ma scelto tra tanti, il più delle volte trovato per caso.
Il mio: una panchina, verde.
In una piazza dalla pianta quadrata e illuminata interamente da un tiepido sole di giorno ed un esercito di lampade dai colori caldi di notte.
Circondata su tre lati da storici palazzi costruiti lì volutamente – per abbracciare chiunque passi o si fermi in quell’angolo – ricoperta da brillanti e levigate pietre naturali.
Il quarto lato aperto.
Una finestra affacciata su una distesa d’acqua azzurra mossa leggermente dai venti spinti verso il basso dalle vicine montagne.
Acqua mai immobile, ricoperta da una fitta rete di increspature in movimento.
Questo movimento diffonde una delicata sinfonia dai toni lievi tale da permettere all’anima di riprendere a respirare.
Ed è lì, in quel posto specifico dove tutto si ferma, dove non ci sono lotte, dove si è soli con se stessi che tutto si riallinea, tutto ritorna alla normalità .
Perché nonostante ci siamo costruiti una vita fatta di affanni, regole, piccoli scontri travestiti da consuetudini, a volte quello di cui abbiamo bisogno è solo un po’ di pace.