La fiamma del camino, ardente, riscaldava con un accogliente tepore la stanza.
I colori caldi, provenienti dalla vicina fonte di calore naturale, illuminavano l’ambiente tinteggiandolo con toni sempre differenti.
Lo scoppiettio delle braci spezzava, con delicatezza, il silenzio calato in quell’istante.
Un dipinto in continua evoluzione.
Noi sprofondati tra le braccia morbide del divano con in mano un bicchiere di buon vino.
Nel mezzo di questa cornice, la solita storia raccontata più e più volte, ma sempre piacevole da ascoltare.
I genitori amano novellare alcuni aneddoti più di altri, forse perché rappresentano qualcosa di importante o forse perché quella storia, oltre a riviverla con la mente, la rivivono con il cuore.
“Sapete che Emanuela non doveva chiamarsi Emanuela?”
“No papà questa storia non l’abbiamo mai sentita! – Oggi. -“
“Prima che vostra sorella nascesse, con la mamma avevamo deciso di darle un altro nome. Il giorno che venne alla luce dovevo andare a registrare la nascita dal funzionario comunale, e passai per salutare.”
“Dai papà , continua ti prego, si fa avvincente la cosa!”
“Sei un cretino. Dicevo; nel salutare ho avvisato la mamma che sarei andato dal funzionario a registrare Emanuela, chiedendole, confermiamo Alessandra come nome?”
La risposta fu “ah non ti preoccupare, ho già fatto io, l’ho chiamata Emanuela.”
Ecco; Emanuela ha iniziato la sua vita così: con il brivido di essere un’altra persona.
Non so se il nome influenza davvero l’essere umano, ma a me piace così com’è, quindi sono contento sia arrivata da noi con il nome di Emanuela.
Questi sono i ricordi aggrappati al cuore dei miei genitori, mentre se io avvolgo indietro la pellicola in cui sono impressi i miei, il primo fotogramma è quello di un batuffolo bianco pieno zeppo di puntini rossi.
E’ un’immagine nitida, forse amplificata dall’avere riposta in qualche cassetto impolverato, una fotografia di quel momento, di quei giorni.
Una bimba paffutella, stesa nel suo lettino, alle prese con il morbillo.
Il viso ed il corpicino coperto da un naturale vestitino a pois.
Gli occhioni, tinti di un verde impenetrabile sempre spalancati, sono il suo biglietto da visita insieme al sorriso in primo piano.
Mostrano la gioia di essere al mondo e regalano, incondizionatamente, fiducia a chi ha la fortuna di percorrere con lei qualche passo di questa vita.
Io ho percorso un tratto di strada breve prima di essere investito dalla nascita di Emanuela.
Dopo essermi goduto la comodità , i privilegi, dell’essere figlio unico, all’improvviso mi sono visto recapitare a domicilio un altro essere umano.
“Chissà perché mamma e papà hanno portato a casa un’altra bambina, boh!”
Così dopo aver fatto scorta di coccole e attenzioni per qualche anno, mi sono ritrovato a dover condividere tutto con Emanuela.
In quegli anni vivevamo in una casa talmente piccina da non avere una nostra cameretta.
Condividevamo ogni angolo, ogni sguardo, ogni respiro.
In pochissimo tempo siamo diventati una coppia di fatto.
Siamo cresciuti insieme guardandoci le spalle.
Ci siamo affezionati, l’un l’altro, immediatamente.
Le litigate, immancabili ogni giorno, erano il filo conduttore del nostro amore.
Emanuela cresceva, la sua proverbiale attenzione ai particolari si acuiva e sparigliarle le carte in tavola non la faceva mai arrabbiare.
Lei è così: nascosta dietro alla figura quasi austera, impenetrabile, sempre perfetta, si nasconde un cuore d’oro incapace di mostrare rancore.
Emanuela non parla, dimostra.
Dimostra quotidianamente il suo valore, così come dimostra i sentimenti senza sbandierarli.
Non lancia parole al vento.
Mostra cosa ha dentro e cosa puoi perdere se rinunci a lei, senza illusioni.
Emanuela è la persona che pur di farti felice, se può, ti toglie un pezzo di infelicità per farsene carico.
Emanuela dona.
Dona ciò che possiede nelle mani o ciò che fa parte di se stessa.
Oggi è il compleanno di Emanuela, e ne approfitta per aggiungere un pezzo di esperienza alla pila riposta sempre al suo fianco, perché lei fa così: conserva tutto dentro il cuore adagiandolo su un trono morbido per farlo sentire protetto, al sicuro, a costo di dover usare il suo corpo per difenderlo.
Ma oggi è il giorno di riscuotere.
Oggi le persone importanti – per te – hanno la possibilità di allargare le braccia, e per una volta, lasciarti appoggiare la testa sulle loro spalle sussurrandoti “oggi spetta a noi pensare a te.”
Io non potrò esserci, e spero che la vita decida finalmente di donarti qualcosa capace di farti urlare: “GRAZIE.”
Buon compleanno Ema, ti voglio un gran bene.
Natalia
Seduto sul lato passeggero perché ero troppo giovane per guidare, ma troppo grande per essere definito adolescente.
I finestrini della macchina aperti, il loro compito era rinfrescare il caldo giunto da qualche giorno su questo pezzo di terra chiamato casa.
La mia autista era una donna convinta di aver terminato parte dei suoi impegni con la natura.
Si parlava con serenità di argomenti poco arguti, di quotidianità , di nulla, si occupava il tempo.
Non so cosa sia passato nella mente della mia compagna di viaggio, non so perché abbia scelto quel momento preciso, così come non so perché io lo abbia stampato in testa come un filmato appena visto, ma all’improvviso e con un tono della voce trasformatosi immediatamente serio:
“Michele sono incinta”
“mamma cosa hai detto?”
“aspetto un altro figlio o figlia.”
Eravamo a circa metà anno nel momento in cui la notizia è diventata “ufficiale” ed ha autonomamente fatto il suo percorso.
Così come ha fatto il suo percorso anche la nuova vita portata nel grembo di una donna decisa a volersi rimettere in gioco, e ripercorrere strade viste in precedenza già due volte.
Il tempo scorre.
Fa freddo, l’inverno ha da poco bussato alla porta dell’emisfero boreale, sono le 07,35 di martedì 27 dicembre 1994, squilla il vecchio telefono a disco all’interno di una casa con una famiglia in attesa di quella notizia:
“pronto chi parla?”
“buongiorno è l’ospedale FateBeneAFarliNascereQuiPerchèSiamoIPiùBravi, lei è il Signor Proto?”
“si sono io;”
“sua figlia è nata l’aspettiamo;”
“arriviamo”.
Questa è stata la venuta al mondo di Natalia, mia sorella, la più piccola, la cocca della famiglia, la viziata per definizione, forse.
Natalia è arrivata come un fulmine a ciel sereno e allo stesso modo si è imposta nelle vite di tutti noi.
Ma il destino è beffardo, si sa, ha aspettato che mi affezionassi a questo scricciolo pieno di energia, capace di mettere di buon umore tutti con versi senza senso degni del miglior grammelot d’annata, per decidere poi di allontanarmi da lei.
Il destino ha provato, forse, a testare la capacità di continuare ad amare anche da lontano.
Il destino ha cercato di testare se fosse possibile per due persone con 17 anni di differenza, distanti 1200 km, senza la possibilità di avere una quotidianità , se riuscissero a legare, a creare un rapporto stretto, a crescere insieme nonostante tutto, a parlarsi pur essendo di generazioni differenti.
Ci ha provato; ci hai provato destino ma senza riuscirci.
Siamo cresciuti tenendoci per mano pur percorrendo strade in direzioni opposte, vite differenti, tetti diversi a coprirci.
Siamo cresciuti vicino stando lontano, ma oggi siamo due amici che si amano come fratelli.
Litighiamo come una coppia con cento anni di matrimonio alle spalle, ma incapaci di immaginare una vita senza la presenza dell’altro.
Siamo due persone con la vittoria in tasca sul tentativo fatto dal destino di non farci mai incontrare davvero.
Oggi è il 27 dicembre giorno del suo compleanno.
Oggi Natalia è una giovane donna.
E’ diventata grande, cammina con certezza sulla strada della vita, sgomitando in mezzo agli altri per mostrare chi è diventata e quali talenti madre natura le ha messo in mano.
Natalia avrei potuto farti un regalo, ma così risparmio.
Buon compleanno e goditi questo viaggio detto vita.
Ti voglio bene.
Michele