Il sole dopo aver compiuto il suo lavoro quotidiano si è congedato.
Ha lasciato il posto al suo fratello gemello siamese: la notte.
Continuano a rincorrersi senza acciuffarsi quei due, non si sovrappongono, non si infastidiscono l’un l’altro, ma non riescono ad incontrarsi pur essendo legati indissolubilmente.
Il manto di oscurità regalato dalla notte scurisce l’esterno del mondo e gli ambienti interni delle case.
Le camere, private della luce, assumono tutte la stessa forma, indefinita, accomunate dall’impossibilità di distinguerne i confini, dove è infattibile notare i suppellettili; si può persino dimenticare l’oggetto privo di importanza poggiato nell’angolo più remoto del mobile alto al centro della parete.
Ma un luogo comune recita: “perdendo un senso si acuiscono tutti gli altri”.
E dopo una giornata complessa, si sente la necessità di spegnere qualche senso per dare vigore agli altri o meglio, si può decidere di abbassare il volume di tutti i sensi, solo per riprendere a respirare lentamente.
La necessità di far emergere dal profondo, far defluire, cacciando via con forza: problemi, malumori, negatività , diventa un’esigenza impellente.
Per questo motivo – rendere i sensi innocui – sul mobile poggiato alla parete opposta del letto si posa una candela, accesa.
Una piccola fiamma capace di dare la quantità giusta di luce per riscaldare i colori scuri dell’ambiente.
Mai immobile, disegna ombre in continua evoluzione, si inseguono, danzano, giocano tra loro.
Il profumo rilasciato accarezza dolcemente le narici.
Tutto concorre per creare un angolo protetto in cui nulla potrà depistare il senso di pace ricercato.
E funziona.
La pace arriva, il respiro rallenta, i muscoli si rilassano, la mente smette di correre, l’anima ritrova l’amicizia del cuore.
Così, disteso sul letto, con le mani dietro la nuca, le gambe poggiate una sull’altra, senza nessun rumore in grado di disturbare la quiete creata, ascolti il racconto fatto da quella piccola fiamma.
Pensi a cosa vuole dirti.
Pensi che la sua vita non è poi così diversa dalle vite di tutti.
Lei per vivere, per donare quel senso di pace, deve bruciare, deve usare l’ossigeno, esaurire lo stoppino, consumare la cera.
Quella candela dopo essere nata avrà a disposizione un tempo finito per vivere, e bello per quanto potrà essere, dovrà consumare qualcosa, dovrà usare ciò che non le appartiene e alla fine si spegnerà , inesorabilmente.
È il racconto della vita.
La differenza si troverà nel modo in cui avrà consumato i suoi elementi.
Se bruciando avrà regalato pace, armonia, serenità allora non sarà stata una candela sprecata.
Così come una vita non sarà stata sprecata se sarà stata vissuta senza sprecare il bello donato da ogni singolo giorno.
Perchè ogni giorno qualcosa di bello serve trovarlo, altrimenti accendere una candela sarà stato solo tempo perso.
Rumore
Tra le mani un accumulo di carta sporcata dai pensieri di un signore con qualcosa da dire.
La pelle riscaldata dal calore proveniente dalla vicina stella – madre della nostra stessa vita. –
Le orecchie piene del canto delle onde del mare mentre lottano tra loro: incapaci di rassegnarsi alla sconfitta.
La sabbia morbida, ma compatta, sostiene il corpo, mentre i pensieri vagano liberi per campi ben coltivati.
Il piacere del sapere di non dover compiere azioni legate solo ad obblighi stabiliti da un pezzo di carta straccia.
Il benessere: omaggio di tutto questo, la scelta: volersene appropriare.
All’interno di questa cornice, una donna in lontananza.
Si avvicina con passo lento e costante calciando qualcosa di impossibile da riconoscere.
“Ma, da questo punto si ha l’impressione di essere su di un isolotto al centro del mare! Ti spiace se siedo anche io qui?”
“Fa’ pure.”
Il corpo esile ma ben proporzionato, lunghi capelli neri resi lucenti dalla luce, occhi azzurri illuminati dalla evidente voglia di vivere, viso dai dolcissimi lineamenti.
Seduta con le gambe stese, dopo aver spostato le mani dietro le spalle e sollevato il viso:
“sai, ho perso una persona importante.”
“Dov’è andata?”
“Non è importante dove, ma non c’è più.”
“E’ un bene o è un male?”
“Un necessario. Mi logorava l’anima, il cuore e la mente”
“Com’è andata via?”
“Rumorosamente e continua a far rumore, incessantemente, dovrei proteggere il mondo da lei.”
“Non farlo, il rumore assorderà chi le orbita attorno e fuggirà come una lepre inseguita da una volpe.”
“Come fai a esserne certo?”
“Chi dice di esserlo. Ma se immagini il rumore come fosse una candela accesa, brucerà e si consumerà fino a spegnersi – lascia al tempo di compiere il suo mestiere – e ci sarà il buio nel suo recinto.”
“Ma nel frattempo sporcherà di cera calda chiunque ci sia attorno a tenerla per mano.”
“Chi si macchierà e deciderà di pulirsi gli occhi vedrà nitidamente il buio lasciato da una candela ormai spenta. E in quel momento capirà di essersi trovato vicino ad un oggetto capace di bruciare se stesso e imbrattare gli altri.”
Sbilanciandosi in avanti, voltò lentamente il viso fissandomi con i suoi grandi occhi sereni:
“tu chi sei?”
“Uno sconosciuto.”
“Non si parla agli sconosciuti.”
“Non lo abbiamo fatto.”
“E’ stato bello non parlare con te. Ciao.”
Si alzò in piedi e si allontanò dando le spalle al mare.