Sono racconti scritti da me per non si sa bene quale motivo.
Forse per aiutarmi a scavare nel profondo.
Forse per mettere in risalto il mio ego.
Forse solo per avere la possibilità di dire qualcosa.
Giambattista Vico è stato il creatore della teoria dei “Corsi e ricorsi storici”.
Sosteneva:
“alcuni accadimenti si ripetono con le stesse modalità , anche a distanza di tempo e ciò non avviene per caso, ma per un disegno della Divina Provvidenza”.
Questo per dire che a volte sembra essere così, e tendenzialmente non è un male.
Un male lo diventa quando il “ricorso storico” rappresenta fatti vomitevoli di persone ipocrite, false, meschine.
Quando il vile si erge a puro di spirito giudicando il prossimo con durezza, ma “ricorre”, nascosto nell’oscurità , il comportamento miserabile e spregevole.
Quando il povero di spirito è terrorizzato dal dover subire una condotta che egli stesso fa di tutto per praticare e mettere in atto, perché ne è soggiogato, e non può fare a meno di farlo “ricorrere” più e più volte.
Caro Giambattista la tua teoria (forse esatta) dovrebbe abituarci alle brutture, ma il disgusto per questi accadimenti è così imponente, che non si può fare a meno di rabbrividire dinanzi all’obbrobrio della mediocrità di tali esseri immondi.
La mente è strana. In casa c’è qualche grado di troppo, non ci si può addormentare così. Apro la finestra per far entrare quel leggero venticello che ha appena la forza di scuotere le foglie più in cima degli alberi davanti a me. Questi ultimi giorni di vacanze hanno regalato un insolito silenzio. Nessun rumore artificiale. Si sente in lontananza il canto rassicurante di qualche grillo annoiato. Dovrebbe esserci la luna piena ad illuminare tutto, ma è coperta dallo strato di nuvole che ha deciso di interporsi nel mezzo. Provando a volgere lo sguardo un po’ più in basso, si nota senza fatica un lampione. Lui è sempre lì. Alto, fiero, imperscrutabile, quasi discreto. Sempre pronto a fare il suo lavoro. Non lo nota mai nessuno, ma rassicura chiunque abbia la fortuna di passare sotto di lui. Oggi invece no. È malato. La sua luce non è costante. È fioca e intermittente. Sembra voglia fare l’occhiolino ai pochi passanti, ma senza convinzione. Lo guardo, comincio a fissarlo. In quel momento la mente mi gioca uno strano scherzo. Fa’ riaffiorare come un fulmine, da chissà quale cassetto nascosto, una vecchia canzone di qualche generazione indietro. Vecchio frac di Domenico Modugno. Mi vien da sorridere e l’ascolto. Chissà se quell’uomo con il cilindro in mano è ancora in giro.
Quando sei in riva al mare, c’è un momento, non appena il sole tramonta, in cui tutto si ovatta. Dura pochi minuti. Se chiudi gli occhi e provi ad ascoltare, percepirai la gioia dei bambini e dei loro giochi, la spensieratezza degli amici e dei loro scherzi, gli sguardi di intesa di una giovane coppia e dei loro sorrisi. E’ in quel preciso momento che il mare ti svuota di ogni tensione e preoccupazione, regalandoti la pace, la serenità e la tranquillità di cui si ha terribilmente bisogno.
Recensione del libro di Sabrina Pignedoli – Operazione Aemilia – Come una cosca di ‘ndrangheta si è insediata al nord – con la quale ho partecipato al concorso “Premio Estense Digital 2016”
Il libro che aiuta a comprendere come si muovono le mani della ‘ndragheta.
Sabrina Pignedoli, collaboratrice Ansa e redattrice del Resto del Carlino, si specializza presso la scuola di giornalismo di Bologna dove nel 2009 diventa giornalista professionista scrivendo di cronaca nera e giudiziaria. Non fa in tempo ad occupare la scrivania che nel 2010 si scontra con le carte dell’operazione Pandora, un’indagine della DDA di Catanzaro che cominciava a mettere in luce la delocalizzazione degli affari della ‘Ndrangheta nel Nord Italia, ma soprattutto in Emilia Romagna. Lo spirito giornalistico innato e la voglia di capire questo fenomeno, finora a lei sconosciuto, la portano a interessarsi e scrivere a tempo pieno di ‘ndrangheta. Da qui e con l’operazione Aemilia dell’antimafia di Bologna nasce la prima fatica letteraria della Pignedoli, alla quale dà lo stesso titolo (Operazione Aemilia – come una cosca di ‘ndrangheta si è insediata al nord), Imprimatur editore, (casa editrice generalista di Reggio Emilia). Erroneamente ci si aspetterebbe la solita raccolta e pubblicazione di atti di una delle tante inchieste italiane. Invece, l’autrice riesce a scrivere “un romanzo” usando un tono a tratti sarcastico, senza però abbandonare il rigore analitico di cui questi racconti necessitano. Dalle prime righe prende forma un intreccio (sapientemente sbrogliato) di considerazioni personali, atti d’inchiesta, riferimenti a eventi passati, personalità e luoghi strettamente collegati che portano il lettore ad immergersi in un mondo che ha sempre visto, immaginato e relegato lontano dalla: “anonima città a misura d’uomo …omissis… la mafia a Reggio Emilia non c’è: nessuno la vede, nessuno la riconosce.” (p. 12), ma che in realtà è vicina a lui, vive con lui, vive di lui. La cosca Grande Aracri (di cui tratta l’inchiesta e il libro) “sanguinario gruppo criminale della ‘ndrangheta di Cutro (Crotone)” (p. 11”) in 32 anni di attività è riuscita a infiltrare i propri affari in ogni angolo pubblico e privato e lascia stupefatti lo scoprire che a Reggio Emilia sono gli imprenditori che cercano la ‘ndrangheta e non viceversa sedendo al loro tavolo e facendo tranquillamente affari con loro. Proprio questo ha dato alla cosca la forza di radicarsi sul territorio e agire così indisturbati per moltissimi anni. La lettura continua con un moto di rabbia quando si scopre che il sodalizio criminale vede nella catastrofe del terremoto emiliano del 2012 un’opportunità di guadagno; la Pignedoli scrive “Ridono perché pensano già alla ricostruzione. Loro non hanno morti da piangere” (p.29). Ovviamente in questa rete non manca nessuno, si va dal semplice operaio che sfrutta la cosca per lavorare, fino alla massoneria, passando dalla politica alla religione, nessuno escluso. Vengono definiti “prostituti professionali”. Dei colletti bianchi la maggiore esponente diverrà Roberta Tattini che imparerà a conoscere la cosca, i meccanismi e a trarne ampio beneficio, pur sapendo con chi ha a che fare. Si noti che il boss è definito “sanguinario”, ma “gli scrupoli etici sono andati fuori moda e lei la moda l’ha sempre seguita” (p.102). Un nuovo aspetto che l’autrice fa emergere è che “In Emilia la ‘ndrangheta punta sul consenso sociale” (p. 23) e questa è una svolta per l’organizzazione criminale in quanto, sfruttando canali finora mai percorsi, cerca il consenso mediatico dando all’opinione pubblica un’immagine di sé purificata. Usando le parole dell’autrice “un imponente e organizzato tentativo di condizionamento dell’opinione pubblica attraverso i media, ricorrendo a trasmissioni pilotate, interviste, addirittura conferenze stampa (p. 118)”. Questa campagna mediatica viene gestita da Nicolino Sarcone (uomo “incapace di mettere insieme due parole” p.123”) referente di Grande Aracri, circondato da molti collaboratori tra cui Marco Gibertini (giornalista professionista) successivamente arrestato e sospeso dall’albo (la Pignedoli lo definisce il “pr” della cosca), procacciatore d’affari e addetto al repulisti dell’immagine del sodalizio criminale. Andando avanti con la lettura è evidente come, la pervasività della cosca sul territorio emiliano è così ampia da trovare terreno fertile non solo nei giornalisti, ma anche in professionisti, carabinieri, politici di tutti gli schieramenti e poliziotti. D’altronde la forza della cosca oltre alla paura è nel denaro e si sa: “pecunia non olet”. L’autrice, proprio da un uomo della Polizia (Domenico Mesiano successivamente arrestato) riceverà una minaccia di interrompere le sue “indagini” sul clan Muto; questo dopo aver scritto un articolo (pubblicato sul Resto del Carlino) in cui si metteva in luce una cena organizzata dagli adepti del clan Grande Aracri alla quale avevano preso parte anche esponenti politici e persone vicino alla cosca. Incontro che diventerà in seguito “la famosa cena”. Fortunatamente le minacce sono state rispedite al mittente e denunciate. Personalmente credo che le minacce subite abbiano sortito l’effetto opposto, motivando la giornalista a proseguire con il suo lavoro e facendole capire che il percorso segnato era quello corretto. Questo è stato messo in risalto anche nell’ordinanza di Aemilia da parte del GIP dottor Ziroldi, le cui parole non possono non essere riportate: “I fatti danno fastidio più delle idee. Chi obbedisce ai fatti rimane un uomo libero, e Sabrina Pignedoli ha dimostrato di essere libera” (p.128). E dello stesso tenore sono ancora le parole del Procuratore di Bologna Roberto Alfonso con il suo plauso alla forza di andare avanti e di “respingere il tentativo di compressione della libertà di stampa”. Fanno anche sorridere le battute che la scrittrice fa nel descrive gli avvenimenti del Comune di Brescello, piccolo paesino in cui Guareschi aveva ambientato le storie di Don Camillo e Peppone. Così il nuovo Don Camillo (Don Evandro Gherardi) non sarà più il rivale del Sindaco comunista Peppone ma diventa suo condiscendente sostenitore. Purtroppo gli arresti dell’operazione Aemilia gli daranno torto. (p.67) E’ triste, infine, vedere e confermare come in tutta questa storia chi vince è sempre l’omertà delle persone (in ogni campo, nessuno escluso) che, non avendo il coraggio di ribellarsi a questo sistema, lasciano che la propria vita sia condizionata da questi Signori. Consiglio la lettura di questo libro a chiunque voglia comprendere il modus operandi della ‘ndrangheta che si muove per fare affari con chiunque: che si tratti di privato o di esponente pubblico. Ottimo esempio di giornalismo d’inchiesta.